La mostra affronta il tema affascinante e antico del rapporto tra arte e gioiello, proponendo 120 opere di una quarantina d’artisti e designer del settore. E’ un legame profondamente mutato rispetto a mille e più anni fa, quando la pittura –perfino in affresco- guardava con ammirazione a quella che era l’allora “arte maggiore”, l’oreficeria, esibendone una raffinata imitazione fatta di fondi oro ed incastonatura di pietre preziose, lavori a pastiglia e un variegato uso di punzoni. L’interesse per questo complesso rapporto sembra però vivere oggi una nuova, felice stagione. Molti eventi sono stati realizzati in seguito alla grande esposizione dedicata qualche anno fa al tema nelle sale di Palazzo Pitti e tra questi s’inserisce -in maniera niente affatto scontata- anche questo appuntamento meranese che, con una naturale predilezione al mondo nordico, affronta il legame arte-gioiello secondo tre differenti sguardi.
La prima sezione è dedicata ai designer di gioielli che si sono ispirati al mondo dell’arte figurativa per le loro creazioni, condividendo un’affinità per la bidimensionalità delle superfici. I lavori di Naum Slutzky, attivo al Bauhaus tra 1919 e 1923, rimandano a una nitidezza formale e a un rigore geometrico tipici di quella scuola. Il meranese Anton Frühauf è legato invece esplicitamente alla pittura di Bissier, mentre Falko Marx, partendo da elementi naturali, come erba, petali di rosa, perfino acqua, o da oggetti banali, come cocci, giocattoli e tappi di bottiglie, ne elabora i cloni in materie preziose.
Il secondo percorso è dedicato a quegli artisti che hanno creato, o per lo meno progettato, gioielli. Si tratta di una produzione senz’altro minore rispetto a quella in cui questi grandi nomi hanno trovato fama, e per lo più stanca, di comodo, che ripropone soluzioni già sperimentate in pittura o scultura, comunque amata da facoltose signore in cerca di qualcosa di stupefacente per le occasioni mondane. Così almeno pare osservando i gioielli di Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana, Alexander Calder e César. Si nota qui inoltre l’assenza di un “gioelliere” di rilievo qual’è Salvador Dalì, autore di ricercatissime spille ed altri monili tempestati di pietre preziose.
Unica nota dolente –in una mostra con un soggetto così chic!- è la caduta di stile nelle pagine centrali del pur bel catalogo, che presentano una serie di 9 pubblicità, dalla funivia al salone di bellezza, alla concessionaria d’auto con tanto di bionda sdraiata sul cofano. Ma qualche sponsor più ‘a tema’ non sarebbe stato rintracciabile.? Business is business…
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