Francesco Pandian, titolare della galleria, cerca sinergie e punta ad esplorare anche ambiti alternativi alla scena italiana. A Losanna, nella sede di Circuit, era riuscito ad esportare un fortunato evento performativo dell’artista padovano Andrea Contin, ottenendo di ospitare a Verona, più recentemente, la prima personale italiana del newyorkese Blair Thurman, artista di spicco affiliato all’associazione. Sull’onda dell’entusiasmo per la collaborazione nasce questa collettiva che, tra installazioni, opere a parete e a terra, fotografia, disegno e grafica, vede all’opera otto giovani artisti elvetici: Natacha Anderes, Luc Aubort, Sandra Bersier, Philippe Decrauzat, Jaen-Christophe Huguenin, François Kohler, Stéphane Kropf e Didier Rittener.
Non un progetto collettivo o una mostra a tema ma piuttosto una successione di individualità a rappresentare la natura di Circuit, spazio aperto al confronto e officina creativa che punta al dialogo con analoghe strutture internazionali.
Ma siccome non bastano le buone intenzioni, alla conta dei fatti, quello che ne esce è un gran minestrone, confusione indistinta che irrita ed annoia. L’energia e la freschezza promesse si sono tradotte in mera accozzaglia che livella i toni e scredita anche un paio di buone idee. Certo, l’allestimento da rigattiere è trendy, fa tanto mitteleuropeo e ricorda le Corderie multiculturali di Bonami o il parigino Palais de Tokio, ma -al di là delle masturbazione mentali- forse tra una mostra d’arte e Porta Portese un filo di differenza dovrebbe esserci ancora.
La galleria è invasa da una selva di tubi colorati di vario diametro, installazione carnevalesca di Stephane Kropf; è quasi una benedizione che la metà di questi bastoncini zuccherosi, che pendono dal soffitto o emergono dal pavimento, sia cascata durante il vernissage. Convincente ed evocativo è invece il grande dipinto di fondo che simula una batteria di Marshall, di Jean-Christophe Hugenin. A proposito di pittura, Natasha Anderes la pratica in modo originale, utilizzando la plastilina: i suoi cantieri e zone suburbane sono paesaggi che, da contratto allegato, possono essere modificati seguendo le mutazioni della realtà. Bella la tecnica, concettualmente l’operazione appare un po’ forzata.
Niente più che carine le Slot di François Kohler ma quei circuiti colorati su fondo nero (ciba su alluminio) ricordano fin troppo le piste del collega Thurman. A terra, di Philippe Decrauzat è una cupola girevole con feritoia militaresca; si attiva all’improvviso emettendo forti suoni e voci distorte. L’opera, neppure tanto originale, complessivamente appare poco ispirata rispetto alla ricerca dell’artista e penalizzata da un allestimento infelice.
Le cose migliori in mostra sono una serie di opere grafiche che passano quasi inosservate, mal esposte e ammonticchiate su un’unica parete. C’è perfino una cosa di John Armleder.
In conclusione un flop con i controfiocchi dal quale risollevarsi il prima possibile. Ed un’occasione perduta anche per i ragazzi di Circuit, che forse, un progetto convincente sui temi del riciclo, della serialità e dello stereotipo, risolto in un contesto ludico e instabile, lo avrebbero anche nelle corde.
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