La mostra che Guido Sartorelli a Venezia è costituita da cinque immagini in bianco e nero, sgranate, poco contrastate ed adombrate. In ognuna di esse si riconosce la sagoma familiare di un vecchio televisore, riproposto in maniera speculare, posto in cima ad una pila di videocassette o di libri.
La scritta “Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”, che si legge in calce ad una delle immagini, dissipa d’un tratto ogni dubbio circa l’interpretazione da attribuire alle opere, senza tuttavia vanificare l’alone di mistero che sembrano emanare, tra l’ironico e l’enigmatico.
Per Sartorelli, autore d’area concettuale e precursore della videoarte, che negli anni Settanta a Venezia ruotava attorno alla Galleria del Cavallino, l’arte non è mai fine a se stessa. Al concetto dell’Arte per l’Arte, conquista tarda del pensiero critico delle avanguardie del Ventesimo secolo, l’artista contrappone la sua idea di arte intesa come missione. Pertanto, la sua opera non si concede mai a compiacimenti estetizzanti; è piuttosto veicolo di riflessione, “strumento” atto a suscitare interrogativi e a stimolare la coscienza critica del fruitore.
In Mirror Sartorelli propone l’antico e sempre attuale dilemma che investe l’arte in tutte le sue manifestazioni: il rapporto che intercorre tra verità e verosimiglianza, tra la realtà e il suo doppio. Ricorrendo al vecchio trucco dello specchio, l’artista ci riporta alla mente i concetti greci di mimesis e poiesis. Come ha rilevato Massimo Donà in un recente saggio, l’artista diventa cives, cioè viene ad assumere, nel sistema dell’arte, il ruolo di cittadino eticamente impegnato.
La mostra continua, fisicamente e concettualmente, a casa della gallerista Michela Rizzo. Nello spazio della galleria sono state infatti esposte le opere più recenti, mentre l’appartamento ospita i lavori che con quelle hanno un legame storico o ideale. Ci si imbatte, in questo caso, in opere che già conosciamo, interessanti video degli anni Settanta e una serie di immagini, trattate come presenze segniche e simboliche, che riportano idealmente alla Storia e all’Architettura. A quelle coordinate spazio-temporali, insomma, che Sartorelli, da sempre insegue, rielaborandole in originali e coerenti forme visive.
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