Si ripete anche quest’anno l’appuntamento della Fondazione Bevilacqua La Masa in collaborazione con il teatro La Fenice. Dopo l’installazione video di Grazia Toderi dello scorso anno, la Fondazione, insieme alla curatrice Francesca Pasini, presenta il lavoro dell’artista coreana Kimsooja, già intercettata a Venezia durante la scorsa Biennale. L’artista ha realizzato una videoinstallazione sul sipario frangifuoco del teatro. To Breathe/Respirare (invisible mirror/invisible needle) è un susseguirsi di monocromi che richiamano i colori della luce decomposta da un prisma, con un sonoro che riproduce il respiro dell’artista. Un respiro che all’inizio è affannoso, alla ricerca di un’armonia che riesce a trovare solo quando sullo schermo si spande il colore verde, che segna simbolicamente un nuovo inizio. Così il respiro si armonizza con l’intero spazio del teatro fino a mutarsi in recitazione di un mantra. Il risultato è un puro ed emblematico omaggio al lavoro teatrale, che proprio attraverso la tecnica della respirazione sviluppa la sua essenza. Un’opera zen basata su equilibri invisibili e sofisticati, che più che richiamare la presenza dello spazio, ne evidenzia il vuoto. Uno specchio invisibile nel quale si rifletteranno gli spettatori che si recheranno a teatro per assistere alla rappresentazione de Le Valchirie e I quattro rusteghi.
Un lavoro, questo prodotto per la Fenice, che riassume la ricerca dell’artista coreana (newyorchese d’adozione), alla costante ricerca di un punto di sutura tra l’Oriente e l’Occidente utilizzando l’ago sia come strumento di lavoro (come nella serie dei Bottari, copriletto che in Corea si regala agli sposi), sia come sottile strumento concettuale.
L’ago è considerato da Kimsooja “un catalizzatore di forze cosmiche, un’estensione del corpo, uno strumento, un barometro e uno Zen”. Come un ago, l’artista raccoglie le forze su stessa per indirizzarle di nuovo sul mondo. Paradigmatica in questo senso l’opera A Needle Woman, una serie di video realizzati tra il 1999 e il 2005, in cui si vede l’artista ferma in differenti paesaggi, caratterizzati dal vortice e dal caos della vita metropolitana.
Il legame con l’arte del cucito è sottolineato anche nella mostra allestita nella galleria della Fondazione Bevilacqua La Masa. Quasi tutti i video, che pure non rappresentano esplicitamente il tema, contengono nel titolo il termine Bottari, che significa coperta. Termine che nell’opera di Kimsooja assume un significato ulteriore, simboleggiando l’essere apolide e nomadico dell’evo contemporaneo. E’ come se l’artista aprisse quei fagotti fatti di bottari e facesse uscire le immagini girate nelle diverse parti del mondo, seguendo il ritmo della natura e del tempo. Come in Bottari-Chasing theFog (2000) o in Bottari-Drawing the snow (2001). Nel primo la nebbia del deserto del Messico rende impercettibile qualsiasi immagine e qualsiasi scansione del tempo, abituando lo spettatore alla visione dell’invisibile; nel secondo la neve newyorchese si offre allo sguardo senza nessun intervento volontario da parte dell’artista, come una sorta di dripping automatizzato, al di fuori della portata umana. L’ago rimane invisibile, pur producendo i suoi punti.
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