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fino al 20.IX.2009 | Fabio Mauri | Venezia, Michela Rizzo

di - 14 Luglio 2009
Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) non pensava alle sue mostre come a raccolte di opere tematizzate su un argomento, ma come a universi relazionali in cui ogni lavoro potesse aprire frammenti di storia e possibili narrazioni.
Quest’ultima mostra, accompagnata dalla certezza di una fine teorizzata per anni e dolorosamente arrivata a pochi giorni dall’inaugurazione, conserva questa stessa tensione e questo continuo alternarsi di rimandi, quasi a costruire un rebus. Così Vittorio Urbani, in catalogo, racconta il lavoro di Mauri, come un rebus “facile da leggere come un timbro, ma misterioso per il significato che vi è nascosto”; un ambiente e un campo di accadimenti, un piccolo teatro poetico che lascia spazio alla commozione e alla complessità.
Del resto, “l’arte”, diceva Mauri, “è sul serio un tema complicato, almeno quanto il mondo”. Ed è in effetti ciò che si legge in ogni suo lavoro, in cui coincidono “estraneità e presenza, la ricerca dell’uomo, il tentativo di sviscerare parte buona e cattiva, il sentirsi inadeguato rispetto alla storia, rigidamente analitico e straordinariamente presente a se stesso” (Martina Cavallarin).
Quasi come se fosse un linguaggio concreto, una serie di segni che diventano corpo, si trasformano in luce e si traducono in musica, alleggeriscono il peso, diventano vuoto e poi riaffermano la propria evidenza. Un po’ come nel dialogo che Mauri ha voluto nelle prime due sale della galleria, in cui zerbini oversize rivestono quasi completamente il pavimento, lasciando il senso di un vuoto che s’insinua come contenuto e messaggio a cui pensare, come L’arte fa perché è storia e mondo e L’universo, come l’infinito, lo vediamo a pezzi, entrambi del 2009.
Questi tappeti, proprio come le librerie che contengono volumi futuristi e su cui sono appesi vestiti e cappotti (Libreria, 2009), paiono quasi indicare il senso di tutto ciò che lo spettatore vedrà nelle sale successive: una serie di ambienti in cui delicatezza, ricordo e concretezza si raccontano reciprocamente.
La mostra ha inizio sin dalle scale d’accesso, in cui sono collocate appunto due librerie che – strozzando lo spazio vitale di chi arriva ed esce dalla galleria – creano l’illusione e l’aspettativa di una certa asfissia, che tuttavia non si percepisce se non dopo aver visitato tutta la mostra e dopo aver ascoltato i carillon e le musiche che accompagnano molti dei lavori (come Cineart del 2006 o Cernobil del 1990).

Solo dopo questo viaggio, lungo il quale si scoprono gli oggetti, gli accumuli di cose (I casi del mondo e la signora Matisse del 1988, opera cui Mauri era legatissimo e che spesso ricorre nelle mostre), la storia dei ricordi e il senso del linguaggio, solo allora arriva il soffocamento della fine. Quella che Mauri ha inciso su muro nell’opera The end, suo ultimissimo lavoro ed esplicitazione di quello che l’artista pensava essere l’opera d’arte: un “luogo d’identità”.

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elena forin
mostra visitata il 4 giugno 2009


dal 4 giugno al 20 settembre 2009
Fabio Mauri – Fabio Mauri, etc.
a cura di Martina Cavallarin
Galleria Michela Rizzo – Palazzo Palumbo Fossati
Fondamenta della Malvasia Vecchia (San Marco 2597 – Santa Maria del Giglio) – 30122 Venezia
Orario: da martedì a sabato ore 10-12.30 e 15.30-19
Ingresso libero
Catalogo a cura di Vittorio Urbani con testi di Achille Bonito Oliva, Martina Cavallarin, Fabio Mauri, Vittorio Urbani
Info: tel./fax +39 0412413006; info@galleriamichelarizzo.net; www.galleriamichelarizzo.net

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