Gli oggetti tessili di Renata Bonfanti (Bassano del Grappa, Vicenza, 1929) sciorinano titoli esotici e lontani come Tundra, Birmania, Algeria. La mostra monografica che rende omaggio a cinquant’anni di lavoro di una delle maggiori artiste italiane del campo tessile li espone a campione del suo coraggioso cammino: dalla necessità di superare un handicap fisico a quello dell’essere donna e creativa nel momento del dopoguerra.
L’impresa al femminile della Bonfanti, intrecciata al destino delle arti applicate, nasce con la produzione di arazzi e tappeti volti all’astratto e
Dalle prime opere più legate all’astrattismo e ispirate da Mondrian e Klee, Renata Bonfanti negli anni Sessanta passa ad altri tessuti -eseguiti anche con telaio meccanico- e tappeti annodati a mano. Inizia arazzi quasi monocromi o con motivi non figurativi, lasciandosi tentare da esperienze ottico-cinetiche. Nascono i tessuti per le lampade di Bruno Munari e produzioni tessili per la Rinascente di Milano che le consentono di
Dagli anni ’70 il suo studio-laboratorio si trova a Mussolente (Vicenza), dove prendono forma arazzi formati da più strati di tessuti sovrapposti che simulano l’apertura di porte e finestre; oltre a tappeti talvolta anche figurativi, ma composti con una tessitura simile a quella degli arazzi antichi. Nei più recenti, degli anni ‘90, compaiono anche richiami al paesaggio o forme geometriche. Moltissime sono state le sue esposizioni, in tutto il mondo: dagli USA al Giappone, dalla Cina al Brasile. E se Bruno Munari nel ‘69 scrisse che lei possedeva quella “libertà ritrovata” degli “antichi autori dei tappeti persiani, degli arazzi abruzzesi, dei tappeti sardi”, Anty Pansera la proclama erede spirituale del Laboratorio di tessitura del Bauhaus. Un’arista che fa “pezzi unici in serie”, un “designer che lavora con l’oggetto più mobile, più sfuggente, più dinamico e vivo: il filo, il filo di lana, di seta, di lino”.
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