La mostra presenta un panorama espositivo dedicato al periodo Dada partendo dagli inizi di quello che è stato, insieme al Futurismo, uno dei più stimolanti movimenti artistici del primo Novecento.
Il percorso potrebbe andare a ritroso, partendo da quello scettico per eccellenza che fu Hugo Ball e dai suoi ultimi anni di vita di passati tra contadini e opere di bene a Sant’Abbondio nel Ticino. Un approdo inaspettato ma non estraneo all’idealità che nel 1915 lo mosse a chiedere una stanza all’oste del Meierei a Niederdorf per suonare, esporre, cantare. Era il Cabaret Voltaire, era Picabia, Duchamp , era Tristan Tzara: Dada è la vita priva di pantofole e di parallele .
Possiamo allora riprendere l’ottimo e agile catalogo che con acume segnala i modi del fare e del pensare dadaista: il paradosso, la sorpresa, lo scandalo, il nichilismo ma anche la tensione creatrice e infine il processo alchemico come metafora di un processo psicologico, modalità dell’essere e del fare che alimentano ancora gran parte delle ricerche contemporanee.
Obiettivo prioritario della mostra è però la messa a fuoco delle relazioni intrattenute con gli artisti di tutta Europa e, in particolare, allo stretto legame con gli italiani come Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Gino Severini Filippo De Pisis, Enrico Prampolini provenienti dal Futurismo e anch’essi rifugiatisi in Svizzera per sfuggire agli orrori della guerra e lavorare sentendo che sarebbero venuti dei banditi alla cui sete ossessiva di potenza persino l’arte sarebbe servita per istupidire gli uomini.
Il racconto parte però da un incontro mancato, quello tra De Pisis e Tristan Tzara: acute le osservazioni su due suoi quadri “immaturi” e tenuti nascosti, dopo
La mostra del 1917 (ricostruita in questa occasione), vide riuniti tutti questi nomi ma preannunciò, nelle sue discontinuità, la fine del sodalizio, perché l’eredità futurista di alcuni era inconciliabile con lo spirito dada mentre altri rimanevano concettualmente metafisici.
Una mostra agile con solo quaranta opere scelte, tra cui i collage di Marcel Janco e Kurt Schwitters, una matita su carta di de Chirico (Chiar di luna a Vichy) del 1924 e un graffiante ritratto della marchesa Casati di Alberto Martini assieme alle più note opere di Severini, Prampolini, Arp e Man Ray. Completa la mostra una sezione costituita da fotografie, documenti, lettere e libri.
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