Patrick Mimran (Parigi, 1956; vive a Ginevra) è un artista poliedrico. Lo avevamo visto alla Fondazione Querini Stampalia con
Brahamatic, un’esplosione cromatica di misticismo, e lo scorso anno con le sue foto di garage; ora una mostra di trenta fotografie a Venezia, evento collaterale della Biennale Architettura, a documentare i passaggi dei suoi billboard da New York a Mosca, da Venezia a Miami, da Tokio a Milano.
Sono grandi scritte in stampatello, in inglese, lingua franca, che occhieggiano ambigue e perentorie, chiamando alla riflessione. Ciascuno ne è irrimediabilmente coinvolto. I caratteri a stampa neri si staccano dal bianco del cartellone e, strappando ai passanti uno sguardo, provocatori, suscitano una reazione. “
Art is not where you think you are going to find it”: insomma, l’Arte con la “A” maiuscola non è dove pensiamo di trovarla. E allora? Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo. Non è solo una questione per addetti ai lavori, collezionisti che vorrebbero essere dealer, galleristi che bramerebbero essere star e curatori che aspirerebbero a essere artisti, come recita un altro dei billboard dell’artista parigino, che della sua libertà di outsider ha fatto una bandiera.
Il progetto
Billboards viene lanciato nel 2001 a Chelsea. Dagli Stati Uniti, dove i moniti o poli di meditazione hanno imparato anche a volare, trascinati sul cielo di Miami da un velivolo giallo, conducono la loro forza, deflagrante d’ironia, a Londra, a Mosca e a Roma. Sono aforismi firmati che sorprendono e arrestano il passo, riuscendo nell’intento per il quale sono stati creati: provocare quel coinvolgimento personale e quell’emozione partecipe che suscita pensieri e scambi di vedute sul terreno dell’arte. Attitudini che sembrano all’autore scarseggiare nei luoghi deputati, gallerie come musei.
L’umorismo si mescola a una sana
vis polemica, che combatte il sistema dell’arte che impone, per “pure” ragioni di mercato, regole univoche, e che non esita a tagliar fuori chi non accetta le mode imposte e chi “non capisce”. Per quanti, ormai sfiduciati, si astengono dal pronunciarsi, Mimran giunge salvifico con un “
Explanation kills Art” o ponendo sui bidoni della spazzatura “
No Art inside”.
Venezia è stata spesso palcoscenico privilegiato per i suoi billboard, dal Ponte dell’Accademia da dove pendeva inflessibile l’affermazione “
L’Arte non deve essere brutta per mostrarsi intelligente”, o quando, durante la Biennale del 2007, una gondola portava a spasso sul Canal Grande la scritta “
Art in motion”.
L’impatto visivo è forte: prendendo il posto dei cartelli pubblicitari, i billboard non possono passare inosservati.
Se a Tokio nel quartiere chic “
Art is fashion” può agire proprio come invito a una meditazione urbana, che sarà mai il “
Tra si nuf” che disorienta? Una lingua morta? No, un gioco enigmistico: “
Art is fun”. Attualmente un billboard avvolge il chiostro del Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano. Vedere, pensare e reagire.