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fino al 3.IV.2011 | Intolleranza ’60 | Venezia, Fondazione Vedova

di - 24 Febbraio 2011
Il teatro / non è specchio che riflette / ma
lente che ingrandisce
“. Sono i versi di Vladimir Majakovskij a
introdurre l’omaggio all’opera-non opera di Luigi Nono Intolleranza ’60. È
infatti il teatro musicale – nella sue dinamiche di azione simultanea,
materializzazione del suono nello spazio, commistione di gesti e immagini
proiettate, secondo le sperimentazioni di Mejerchol’d,
Schlemmer e Piscator – al centro dell’interesse del compositore veneziano.

In scena
sono i tormenti del protagonista, torturato, imprigionato in un campo di
concentramento, liberato e confuso dalla banalità della vita quotidiana, fino
ad essere travolto in un’alluvione, senza perdere la fiducia brechtiana
nell’aiuto dell’uomo sull’uomo. Intolleranza
rappresenta per l’opera di Nono un punto di arrivo e di partenza, concludendo
un percorso di ricerca a lungo vagheggiato ma fino ad allora non ancora portato
a termine.

La
mostra ospitata dalla Fondazione Vedova mette in evidenza tutte le fasi di un
lungo e tormentato processo creativo, dal carteggio con il librettista Angelo Maria Ripellino alla partitura
annotata da Maderna fino ai bozzetti
di Emilio Vedova, che animano una
scena tra immagini fisse e in movimento, sulla scorta della Lanterna praghese di Alfred Radok e Jozed Svoboda, che contribuirà parzialmente al progetto di Nono.


I
documenti preparatori mostrano dubbi e ripensamenti di un procedere in levare
che scava dentro le suggestioni più illustrative, per ricavarne lo scheletro
scarno e irriducibile del reale, alla ricerca delle sartriane “strutture della coscienza operante“.
E proprio Sartre, oltre a Brecht, Eluard, Majakowski e altri daranno voce
all’opera, riducendo il contributo della scrittura di Ripellino fino a portarlo
a riconoscerne soltanto gun’ideah e non
più la paternità.

L’intesa
tra Nono e Vedova appare, invece, molto più salda, facendo leva su interessi
comuni, tanto da sfruttare nell’allestimento opere del decennio precedente,
come Campo di concentramento del
1950, il cui reticolato occuperà il palco nei capitoli dedicati al lager. La
parte documentale dell’opera è completata dalle fotografie di scena dell’ultima
prova generale. Proiettate su tre schermi, le immagini in bianco e nero sono
scandite da frammenti musicali, dando efficacemente l’impressione di quella che
il curatore ha descritto come “una
scena che si scompone, si frantuma, si riempie e si svuota fino a farsi
pluricentrica (addirittura anamorfica) per poi ricomporsi
“.


Impressionano
soprattutto la rappresentazione del chiacchericcio della vita quotidiana
attraverso collage visivi e sonori e la scena finale dell’alluvione, in cui la
pittura proiettata di Vedova dilaga e sommerge letteralmente l’intero
palcoscenico.

La
mostra chiude con la recezione dell’opera, il cui destino sembra inizialmente
segnato dal suo nome. I ritagli di giornali testimoniano pareri fortemente
critici, come il corsivo di Montale sul Corriere
della Sera
, per un’opera di arte totale talmente innovativa e attuale che è
difficile credere che sia stata realizzata 50 anni fa.

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Calle dello Squero (Dorsoduro 46 – Zattere) – 30123 Venezia

Orario: da mercoledì a lunedì ore 10.30-18

Ingresso libero

Info: tel +39 0415226626; info@fondazionevedova.org ; www.fondazionevedova.org

[exibart]

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