Cresciuto sotto l’inevitabile peso di un cognome troppo celebre che talvolta ha banalmente limitato la sua poetica al disagio psicologico, Lucian Freud è considerato oggi il più grande pittore realista vivente. In fuga da Berlino dopo l’ascesa al potere di Hitler, la famiglia Freud si trasferisce a Londra con Lux appena decenne. Il 1954 segna il suo debutto a fianco di Bacon e Nicholson chiamati a rappresentare la Gran Bretagna alla XXVII Biennale di Venezia dove a distanza di cinquant’anni è celebrato con una mostra antologica. Novantun opere tra oli ed incisioni, tra cui alcune inedite provenienti da collezioni private, ripercorrono la lunga attività dell’artista dagli anni quaranta ad oggi.
Nudi e ritratti sono indagati con profonda penetrazione psicologica e l’ossessiva precisione del dettaglio. Con sguardo lucido sull’inesorabile scorrere del tempo, Lucian si muove tra le pieghe opulente della carne ostentando la tormentata consapevolezza dell’esistere. Districa il dramma dell’uomo imprigionato nella gravità del proprio corpo, immerso in algidi ambienti che incarnano la metafora della solitudine esistenziale.
Prendendo le mosse da maestri del passato quali Ingres,
La straordinaria intensità emotiva dei ritratti emerge già dagli anni cinquanta. Freud incontra Bacon nel 1944. Il suo ritratto rimasto inconcluso per l’improvvisa partenza per Tangeri di Francis assume l’imponenza di una surreale maschera fluttuante nel vuoto. In The Brigadier il generale Parker Bowles si concede una posa stanca e rilassata che non si addice ad un uomo d’arme del quale coglie il lato umano scevro dall’idealizzazione della ritrattistica ufficiale così come avviene per il volto della regina Elisabetta, lontana dalla tradizionale iconografia reale. Tutti i modelli di Lucian seguono lo scorrere del tempo.
La ripetizione di forme, l’impietosa analisi di persone, piante e animali divengono i temi che scandiscono il percorso della mostra. Attratto da pose inusuali che esibiscono genitali con disarmante naturalezza, il pittore sceglie come soggetto prediletto il suo amante Leigh Bowery che poserà per lui fino alla morte per aids. In And the Bridegroom lo ritrae con la moglie adagiato mollemente sul letto come in un grembo materno in uno scenario di forte impatto visivo.
Dagli anni novanta la materia pittorica si raggruma ribollente e pulsante incrostandosi ed ispessendosi sulla tela e rendendo più drammatica la disincantata umanità che ferocemente trascina lo spettatore dentro la scena. Se la mostra riesce ad individuare i punti cardine dell’evoluzione di Freud, non altrettanto riesce ad essere un’antologica esaustiva in quanto la scelta delle opere appare troppo scarna e alcune delle incisioni di qualità non eccelsa. Una mostra non abbastanza “celebrativa”, quindi, per un artista del calibro di Lucian Freud, acuto e spietato osservatore di Self-portrait reflection che s’insinua ancora come lama fendente tra orge di carni sfatte e purulente. Silenzioso testimone smarrito nella caducità dell’umano destino.
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si, brava. Ma non credo sia una novità!
Complimenti! Questa recensione è scritta benissimo!
L'esempio tipico di un artista sovrastimato e di una sua celebrazione.... di facile successo...
Infine un artista valutato in funzione del suo reale successo! Ormai ci eravamo abituati ad artisti di difficile successo e misteriosamente sovrastimati.
Credo che la mostra di Venezia celebri in tutto e per tutto l'opera di Lucien Freud. Forse l'enfasi maggiore consiste proprio nella semplicità dell'esposizione, canonica e statica.
La quantità di tele, incisioni e ritratti ripercorre i 50 anni di vita e lavoro dell'artista, un percorso durante il quale anche il visitatore meno accorto può leggere la storia e l'estetica della pennellata che si frantuma con la vecchiaia e forse la fragilità dell'essere. Mi ha colpito notare quanto Freud abbia imparato ad amare il proprio corpo nel momento della decadenza biologica, forse è l'elemento che lo ha reso più caro ai miei occhi e più vicino al dna della psicanalisi - a mio parere...
Mi trovo abbastanza d'accordo con questa descrizione dell' antologica di Freud. Quello che vorrei piacevolmente far notare a tutti i detrattori della Pittura in favore di esperienze artistiche considerate più "contemporanee" è che il signor Freud ci mostra ancora, alla sua veneranda età, come la pratica della pittura figurativa (intesa come interpretazione, data dall'esperienza diretta, della realtà), nonostante l'avvento di innumerevoli scorciatoie, come ad esempio l'imperante moda di riprodurre perfettamente la fotografia (fenomeno per me da concludersi entro il decennio nel quale era stata ideato), porti ancora alto il vessillo e il pregio di raccontare e di esaltare quel poco di umano che ci è rimasto e che non può lasciare indifferenti.