Sembra che a fare arte Enrico Minato si diverta come un matto. Si percepisce il sorriso beffardo che si cela dietro le sue opere. Non la risata superba di chi si sente un gradino più in su, ma il piacere sottile di chi sa manipolare con abilità e leggerezza gli arnesi del mestiere. E sorprende, o anche, semplicemente, prende per il naso.
L’opera che dà il titolo alla personale è un pannello di gommapiuma con i colori della bandiera italiana in cui è stata incavata la frase “con dito”. Un riferimento al made in Italy, alla nazione che s’identifica con la sua moda e la sua cucina, diversa ed ironicamente distantissima da quella delle sovrapposte Flags di Jasper Johns. Ma il gioco concettuale si fa più incalzante con la serie di libri chiusi e trafitti da bulloni e dadi che ne rendono impossibile la lettura, lo scopo per cui esistono. Ciascun volume ha un pomposo titolo in rilievo (come Valle di lacrime o Silenzio arenato) che non sapremo mai se sia indicazione del contenuto o semplice miccia ontologica per lettori impotenti. E il gioco di Minato continua con Prendere aria, realizzato con dei guanti di nylon trasparenti monouso tenuti gonfi da una base che produce aria. Dall’identificazione dei guanti con le nostre mani e dalla banalità dell’idea di “prendere aria” nasce inevitabilmente il sorriso, ma anche la riflessione sul significato delle parole. Espressioni d’uso quotidiano che possono essere manipolate in maniera spiazzante.
Leggiamo delle scritte con la desinenza ossessivamente in oide in Antropologia: una riflessione amara sulla classificazione razziale, sui ceppi etnici che per anni sono stati oggetto d’analisi dell’antropologia ma che hanno in realtà giustificato una tassonomia razzista anche nel secolo appena passato.
L’interesse per i temi sociali è testimoniato anche da Carta delle lacrime, cartina dell’Africa che raffigura le precipitazioni pluviali del continente, destinata però a perdere il colore con il tempo e l’azione della luce. La stessa luce che mette in risalto le scritte in acciaio dell’ombrello rotto di Raccontare il tempo e che viene riflessa in Viava, scultura in acciaio a croce greca (collocata tra quattro colonnine della stanza al centro di una cornice di mattonelle del pavimento) che confonde e sovrappone dinamicamente il titolo dell’opera e i piedi dell’osservatore.
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