Categorie: venezia

resoconti | Luigi Carboni | Verona, Studio la Città

di - 15 Febbraio 2011
Le grandi tele di Luigi Carboni (Pesaro, 1957) sono un
continuo annuncio e insieme una continua evocazione di forma, che si arresta
però alla soglia dell’immagine. Falso dibattito, per lui, quello fra astrazione
e figurazione. L’una e l’altra sono le due sponde di un fiume che non si può
deviare, come non si può trattenere un pugno di sabbia. È una pittura che ha a
che fare con l’ineffabile e con il sostanziale: non è del tutto mentale né del
tutto fisica: è un gioco di presenza-assenza, un senso di attesa che può
ricordare la sabbia della clessidra, il tempo inesistente che si ricostruisce
ogni volta che si capovolge. Capovolgere: volgere il capo, il davanti e il
dietro; la sabbia che scorre sempre nuova, che si rigenera in rivolo nuovo di
nuovo. Il tempo e il colore. Ripetuto e rovesciato e stravolto.

Se il segno distintivo del primo
Rinascimento è il punto di fuga prospettico che organizza la visione del
quadro, facendosi corazza e scudo delle forme, la pittura di Carboni non
segnala nessuno spazio particolare. Consiste in una lunga, paziente operazione
di aspersione, di spandimento, di stiramento della materia: è un sistema (o un
gioco) in cui si cambiano di continuo le carte e in cui l’unica regola vigente è
quella della sregolatezza, dell’eccedenza. E se, osservando da lontano, pare di
essere davanti a monoliti (o monocromi), più ci si avvicina e più ci si accorge
di distanze interne, gerarchie, singolarità.


Come in Piero, Uccello
o Masaccio, anche qui c’è un’invasione dinamica delle superfici, una
comparsa di piani allucinatori, di insolite giustapposizioni. Ed è come se il “locale”
giungesse a intaccare il “globale”, la “parte” a rigare la massa vetrificata
del “tutto”. Così ogni immagine che l’artista elabora è sempre molte immagini o
un’immagine nella sua scissione, nella sua molteplicità, nella sua
dislocazione. E neppure i cerchi concentrici, simili a bersagli, che Carboni
introduce come personalissimi mitemi, riescono a fermare lo sguardo, perché si
espandono come le onde modulate di un soffio ombelicale, ma soprattutto perché
sono sradicati da una serie infinità di orditi segnici, simili ai ricami
voluttuosi e tragici di una Ghada Amer.


Nell’opera dal titolo Il
riposo della forma
(2010), delle corde scivolano addirittura fuori dal
quadro, quasi a spalancare la ribalta dello spazio pittorico. È il soffio
dell’ornamento a rendere ipersignificanti le immagini: a far di loro dei corpi
scritti, dei testi viventi. E in questo contesto vanno interpretate anche le
preziose sculture in legno laccato di Carboni. Fredde, geometriche, minimali, in
apparenza impongono un’assoluta distillazione formale, ma sono anche armoniose
e “prive di senso”: sono “figure” che si avvicinano a un design fantasioso e
magico, realizzato con una specie di lucida, asettica follia. Sono “apparecchi
scapoli”: macchine inutili, ironicamente assurde.

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Carboni a Pesaro

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a Verona nel 2001

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mostra visitata il 27 novembre
2010


dal 27 novembre 2010
al 12 febbraio 2011

Luigi Carboni –
L’occhio si nasconde

a cura di Ludovico
Pratesi

Studio La Città

Lungadige Galtarossa, 21 – 37133 Verona

Orario: da martedì a sabato ore 9-13 e 15.30-19.30

Catalogo disponibile

Ingresso libero

Info: tel. +39 045597549; fax +39 045597028; lacitta@studiolacitta.it; www.studiolacitta.it

[exibart]

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