Stratificazioni archeologiche di importanza mondiale fanno della Grecia il luogo di culto per la nostra storia mediterranea. Ma spingendosi più a est, dove è visibile a vista d’occhio la costa turca, le isole possiedono un patrimonio architettonico che parla italiano.
Tra il 1911 e il 1912, a seguito dell’indebolimento dell’impero Ottomano e delle spinte colonialiste dell’Europa, l’Italia occupa prima la Libia e poi si allunga fino al Mar Egeo, insediandosi nell’arcipelago del Dodecaneso che comprende, tra le altre, Rodi, Coo, Leros. Con alterne vicende, L’Italia mantenne il controllo delle isole fino alla caduta di Mussolini nel 1943.
Nel mio tentativo di dare una forma fotografica attuale, tra fatti e misfatti, alla storia coloniale italiana in un progetto che faticosamente prende forma, il Dodecaneso, dopo l’Italia e l’Eritrea, è una delle mie tappe.
Sia Rodi che Coo (o Cos o Kos) hanno tracce ben visibili delle architetture italiane, dagli edifici pubblici, agli alberghi, ai cinema e teatri, ma, Lakki capoluogo dell’isola di Leros, forse perché meno battuta dal turismo mondiale, rimane particolarmente sospesa, nei volumi razionalisti, in un’atmosfera metafisica.
Lakki o Portolago, Il nome italiano da Mario Lago che, seppur in epoca fascista, fu governatore lungimirante delle isole egee dal 1922 al 1936, rispetto al suo decisamente più fascista successore Cesare Maria De Vecchi il quale fece deportare l’intera comunità ebraica di Rodi nei campi nazisti.
Arrivo col traghetto a tarda sera, da Coo. Qui la zona è meno servita dai traghetti estivi e quindi (fortunatamente) meno turistica. Nel buio non sai bene dove ti trovi, nulla intorno richiama il bianco e l’azzurro di una Grecia ormai scontata. L’edificio sulla piazza davanti al mare è deserto, le finestre vuote, occhi neri sulla baia. Le architetture qui non hanno nulla dell’eclettico orientaleggiante del Florestano di Fausto del Municipio di Rodi o dell’Albergo Gelsomino di Coo del Petracco.
Le forme sono più severe, un razionalismo più essenziale che ricorda Pomezia, Pontinia, Sabaudia. Tra i tanti architetti ed urbanisti che progettarono le “città nuove” nell’Agro laziale bonificato e che lavorarono anche nelle colonie, tra loro Armando Bernabiti e Rodolfo Petracco riportarono qui stili e forme modernisti adeguandosi anche al territorio e alle sue funzioni.
La baia di Lakki, ben protetta dal mare, era perfetta per insediarvi la Marina Militare che fu protagonista poi nel Secondo Conflitto delle battaglie navali, con i tedeschi prima e poi alleati agli inglesi.
Gli edifici militari hanno avuto anche loro nel tempo stratificazioni d’uso: abbandonata dopo la guerra l’ex caserma Rossetti diviene il più grande e terribile manicomio d’Europa, che chiuderà negli anni ’90 dopo le riforme basagliane. In anni recenti altre anime troveranno un ricovero, quelle dei profughi siriani e afghani, i cui segni restano sulle coperte rimaste a terra.
Oggi il luogo è pressoché abbandonato, in attesa di riconvertirsi ancora.
Sulla collina in mezzo ai sassi, vigila in alto sul mare, quello che pare un affascinante santuario ma in verità un pezzo di ingegneria italiana, l’aerofono, un antenato del radar capace di captare per la sua forma curvilinea i suoni delle navi e degli aerei a distanza.
Passeggiare per Lakki, ti pare di riconoscerne l’urbanistica ed di incontrare edifici già visti nelle province in Italia. Il cinema-teatro Roma adiacente all’albergo ancora in restauro, sul retro il cinema all’aperto come nelle nostre arene estive. L’ex Municipio con la classica torre e gli archi, dove oggi c’è un delizioso baretto che ti offre la bottiglia d’acqua o una spremuta d’arancia gratuitamente se bevi il caffè, all’ombra dei platanos. Il rotondo edificio del mercato (purtroppo in disuso) che ricorda, seppur molto vagamente il Pantheon, con apertura sul tetto, dove spunta una splendida palma.
E ancora la razionalissima Chiesa di San Francesco o Agios Nikolaos, le villette intorno, il centro salute, la scuola elementare e media che mantiene all’interno parte degli arredi e dei colori.
Lakki non è per turisti. Non ti accoglie o travolge con il caos dei souvenir e dei tour in barca, rimane indifferente al flusso estivo se non per l’affollata ma in disparte Marina, dagli scafi di plastica. E se affitti una bici o un motorino e segui la strada costiera da una parte o dall’altra, l’azzurro e antico Mar Egeo ti aspetta proprio dietro la prima collina, incastrato tra rami di pini e spiagge splendidamente deserte.
(luglio 2025)
Fotoreporter indipendente, è stata assistente di Gabriele Basilico e ha lavorato con alcuni dei principali periodici italiani e esteri. Da alcuni anni cerca di approfondire tematiche legate alla storia contemporanea e alle dinamiche sociali anche in aree di crisi e di conflitto. Fotografare per lei significa cogliere nel flusso degli accadimenti e del quotidiano, quell’attimo nel quale gli elementi e le forme si combinano per restituire a chi guarda la sostanza di un’informazione e del suo pensiero. Le sue foto sono presenti in varie collezioni quali il MUFOCO-Museo di fotografia Contemporanea, la Collezione d’arte della Farnesina Ministero degli Esteri-MAECI, Fondazione Alinari, Collezione Donata Pizzi e altre. Alcuni suoi lavori sono rappresentati dalla Galleria Alessia Paladini di Milano. Nata a Rimini, lavora a Milano.
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