Di cosa parliamo oggi, quando parliamo di immagini?
Quando parliamo d’immagini ci riferiamo contemporaneamente a molte tipologie d’immagine: da quelle pubblicitarie a quelle cinematografiche, da quelle dei videogiochi a quelle della pittura e della scultura, ma anche a quelle generate dall’universo multimediale e delle telecomunicazioni.
C’è una differenza rilevante tra le immagini di oggi e quelle del passato?
Le immagini hanno subito molte trasformazioni e mutamenti nel corso dei secoli e il loro statuto ha sempre oscillato tra realtà, sogno, simulazione e stati alterati di coscienza. Dalle immagini graffite nelle caverne preistoriche agli agglomerati teriomorfici dei totem nelle culture primarie, all’utilizzo di complessi codici onirici, quasi delle mappe geo-psichiche per gli aborigeni australiani, come l’analisi del rapporto realtà e inconscio per i surrealisti europei piuttosto che, in funzione eminentemente didattica, rivolta, come una neo-televisione d’epoca alla massa di analfabeti e illetterati, le immagini bibliche e dei santi nei cicli pittorici e scultorei medioevali.
Si parla di “tecno-mondi” nelle accezioni storica, artistica, epistemologica. Potremmo dire che le immagini che frequentiamo abitualmente sono pienamente funzionali, mentre i tecno-mondi, nella mia formulazione, sono dei dispositivi tecno-concettuali, dei modelli di tipo scientifico, appunto, nati per verificare la composizione e la tenuta delle immagini.
Le immagini, oggi, hanno un valore prevalentemente estetico o comunicativo?
Le immagini rimandano a un contesto puramente funzionale, comunicativo, come fa notare Perniola in uno suo saggio recente, mentre, anticamente e in altri contesti, le immagini avevano uno status differente, dotato di caratteristiche plurisemantiche come i grandi cicli pittorici del Medio Evo. Erano, tra l’altro, un sistema multimedium integrato (fotografia, cinema, registrazione, codici architettonici, visivi, musicali).
Che rapporto intercorre tra le tecnologie dell’immagine e la produzione artistica contemporanea? Come dire: il pittore è ancora competitivo?
È una domanda che ammette diverse risposte. In alcuni casi l’artista è in grado di reinterpretare, con i propri codici, frammenti del mondo contemporaneo, e l’utilizzo di tecniche video, fotografiche, installative è una modalità consentita. Se consideriamo autori che lavorano con le bio-tecnologie, ci troviamo di fronte a degli artisti utilizzati, principalmente, come interfacce per spiegare al pubblico fenomeni scientifici e sociali altamente controversi: le manipolazioni genetiche e il controllo, anche giuridico ed economico, su parti rilevanti del genoma umano e animale, come nel romanzo Next di Michael Crichton. In questo senso, gli artisti orientati dal punto di vista scientifico potrebbero essere visti come l’equivalente moderno dei pittori impressionisti, che cercavano di veicolare, con nuovi tipi di pittura e una nuova sensibilità, come se avessero a disposizione pattern di pixel elettronici, le componenti cromatiche e chimiche, lo “sguardo ottico” di tecnologie dure, per l’epoca, come il cinema e la fotografia. Per quanto riguarda la realtà virtuale, il panorama attuale è composto da sistemi immersivi che ti inoltrano in mondi digitali istantanei e ti aprono delle finestre in mondi virtuali, che sia un avatar attivo in Second Life o lo spedire in rete immagini, testi e filmati con dispositivi mobili, fino alla ricerca di simil-palinsesti televisivi personalizzati con la web tv e sistemi come Tivo o Replay TV. L’artista tradizionale, in tutto ciò che si basa sullo sviluppo di tecnologie di telecomunicazione e dei new media, sembra poter fare molto poco. Forse, alcune operazioni di ricostruzione e memoria dei fatti passati, come quell’artista americana che ha simulato i danni cerebrali dopo un incidente stradale, utilizzando sistemi di realtà virtuale che facevano vedere agli spettatori una simulazione del suo sguardo, incidentato.
Tecnologia, ingegneria, biologia, con le rispettive contaminazioni sono alla base dell’estetica contemporanea? O lo sono sempre state?
No, probabilmente, il sentire profondo delle avanguardie di questo passato secolo aveva un retropensiero tecnologico che si appoggiava a una forma d’ingegneria elettromeccanica, utilizzando pattern ed elementi di una teoria della complessità e delle catastrofi, in nuce. Come negli esempi della trasformazione concettuale sul linguaggio naturale che i surrealisti dicevano di saper riprodurre, facendolo quasi implodere dall’interno, nelle componenti atomiche; o il caso dell’arte programmata e cinetica che sembra, a vederla con gli occhi di oggi, una prova generale di sistemi tecno-ludici e interattivi, videogiochi, ipertesti, una forma leggera di multimedialità. Due esempi emblematici di come l’arte visiva sia contaminata da elementi extra artistici: il Savinio, fratello di De Chirico, che ha caratteristiche fortemente cronenberghiane con la sua teoria pittorica eccentrica, delle mutazioni nei ritratti di famiglia; e Rauschenberg che, con i “combine paintings”, introduce dei codici che utilizzano la narrazione short, una specie di archeo-videoclip contagiato da messaggi brevi e concisi da news pre-Cnn, un tipo di comunicazione mediale che oggi conosciamo molto bene.
a cura di claudio musso
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