Grazie all’Archivio Giovani Artisti dell’assessorato alle politiche culturali del Comune di Parma anche il passante più distratto può rendersi conto di quello che succede nel panorama dell’arte contemporanea cittadina. Niazi, Bosi e Marrani, pur giovani anagraficamente (sono nati tra il 1969 e 1978), hanno già numerose esperienze espositive alle spalle, a Parma e altrove. Nella diversità dei soggetti e dei percorsi scelti, quello che li accomuna è la rappresentazione di un mondo percorso da inquietudini sottili, popolato da immagini minacciose, perennemente in cerca di sé.
È apparentemente classico l’approccio dell’iraniano Ruzbeh Abdollahi Niazi (Teheran, 1978) che presenta una serie di ritratti a olio, su tele di diverse dimensioni. Primissimi piani e mezzi busti di persone comuni, chi sorride e chi no, qualcuno vestito, altri nudi. Eppure qualcosa non va. E il pensiero corre subito a Lucien Freud. Il pennello proietta ombre drammatiche, scava rughe, spalanca occhi e bocche come una lente deformante, che sembra alludere ad una malcelata vena di follia. Viceversa normalizza l’assurdo, ritraendo una testa di caprone e di elefante in giacca e cravatta. Nessun richiamo all’accademia invece per Massimiliano Marrani (Bologna, 1969) che gioca e improvvisa con il computer, che è anche il suo strumento di lavoro. Nelle sue opere in continua evoluzione, si diverte a costruire e decostruire, scannerizza, elabora, improvvisa sul foglio bianco -ma elettronico- che diventano stampe fotografiche lambda, montate su pannelli di tek, come in questo caso. Sono di periodi diversi, e si vede. Ha un certo gusto per gli effetti materici come
Fin da subito, quelli che Lorenzo Bosi (Volta Mantovana, 1976) ha definito gangli d’uomo, ossia sagome umane continuamente ricostruite da uno spesso tratto nero in una sorta di puzzle, ricordano Keith Haring. Gambe, piedi, mani stilizzate dal tratto nero si agitano frenetiche sulle piccole superficie delle tele, montate su fili di nylon tenuti paralleli come su un pallottoliere. I gangli si ricongiungono brevemente come un fiume in piena sul plexiglas, per poi avvolgersi come un abito in bianco e nero attorno ai due manichini rosso sangue, alla ricerca di una nuova dimensione. Ma finiscono per scomporsi di nuovo nell’asettico, geometrico ordine degli scomparti di un cassetto.
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angelica tragni
mostra visitata il 3 dicembre 2005
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