All’inizio c’erano il segno, il gesto, la materia. Poi lentamente il fascino della parola poetica ha conquistato l’immaginario artistico di William Xerra (Firenze, 1937) diventando nutrimento culturale indispensabile. Erano gli anni Sessanta e il pittore, influenzato dai ripetuti contatti con il Gruppo 63 e dall’amicizia con Sebastiano Vassalli, Corrado Costa e Adriano Spatola, si avvicinò alla poesia visiva, concreta e sonora. Dal Gruppo 63, che con i suoi tentativi di sperimentazione letteraria cercava di rompere definitivamente con i metri e gli stili tradizionali, ereditò quell’ansia di rinnovamento che lo spinse a riflettere profondamente sulle potenzialità dei diversi codici comunicativi.
La personale del pittore si inserisce così alla perfezione all’interno della seconda edizione di Parmapoesia Festival. Negli spazi contenuti della Galleria San Ludovico le poche opere in mostra ci appaiono come un percorso verso l’interpretazione un linguaggio apparentemente difficile da comprendere. Nell’opera Come se la platea vedesse ad un tratto nella pausa d’attesa, del 1998, si coglie uno dei temi centrali della sua ricerca: quello del frammento, sia esso iconografico o testuale. L’artista qui ridona significato ai resti di un vecchio soggetto sacro del Settecento lombardo, sottraendolo dall’anonimato dell’intero per ricontestualizzarlo in un nuovo spazio estetico, autonomo e semanticamente rinnovato.
I territori linguistici di Xerra si alimentano grazie alle capacità espressive dei suoi codici verbo-visivi. Ne è un esempio l’installazione del 2001 One way, Crocifissione che mostra un Cristo rivolto verso uno specchio e immerso in un mare di giornali che parlano di guerra. È un’opera che utilizza la parola scritta per raccontare l’orrore del quotidiano. La tragedia raccontata dai giornali viene mescolata ad immagini pubblicitarie, evidenziando la follia di una realtà completamente schizofrenica; come il Cristo siamo costretti a guardare in basso verso un fondo che sembra non avere fine. Nell’altra installazione del 2003, Il colore del sangue, una riproduzione su tela della Via Crucis viene utilizzata come tovaglia per un tavolino quadrato sopra il quale l’artista ha rovesciato un secchio di vernice rossa; quattro lampade illuminano la scena. È ancora la tragica violenza della realtà -una lucida “cognizione del dolore”- a catturare l’attenzione dell’artista che qui ironizza sull’incapacità dell’uomo di comprendere l’inutilità di ogni spargimento di sangue.
nicola bassano
mostra visitata il 19 giugno 2006
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