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Fino al 17.VII.2016 | Enzo Cucchi, Dieci disegni | Galleria Scaramuzza Artecontemporanea, Lecce

di - 3 Luglio 2016
Origine di ogni attività creativa, stadio preliminare o opera compiuta, il disegno è schema mentale prima che grafico, banco di prova per l’abilità dell’artista che nella facilità del segno e nell’immediatezza del gesto trova i giusti mezzi per assecondare il flusso di pensiero, facendo coincidere tempi della mente con quelli della mano. «L’idea del disegno è l’unica possibilità, per un uomo, di pensare», ha detto Enzo Cucchi (Morro d’Alba, 1949). Queste parole rappresentano la giusta premessa alla nuova personale dell’artista marchigiano, ordinata da Marinilde Giannandrea negli spazi della Galleria Scaramuzza Arte Contemporanea di Lecce. Una vera e propria chiave interpretativa, utile ad illuminare il pensiero dell’artista, che colloca l’attività grafica nell’area speculativa, liberandola da ogni rischio di accademismo o banalizzazione commerciale, a metà tra bisogno comunicativo ed espressione individuale.
Personalità di spicco dello scenario artistico italiano del secondo Novecento, Cucchi, si è imposto alla scena internazionale soprattutto in seguito alla sua adesione alla Transavanguardia, all’interno della quale ha maturato il suo inconfondibile stile. Partito da un lavoro installativo d’impostazione concettuale è poi approdato ad una pittura neoespressionista, prossima alla coeva figurazione tedesca, a cui l’accomuna la forza del segno e la tagliente crudezza di certe iconografie. Nel corso della sua carriera la sua produzione si è diversificata nell’impiego di scale differenti, dal minuscolo al monumentale, e nell’utilizzo di materiali eterogenei (metallo, legno, terracotta, neon), acquisendo una fama internazionale e un costante sostegno di collezionisti e galleristi (primi su tutti Emilio Mazzoli e Gian Enzo Sperone).

“Dieci disegni” (è questo il titolo della mostra leccese, in una coincidenza perfetta tra oggetto e soggetto dell’iniziativa), compongono il succinto ma denso percorso, tra tensione visionaria e aspirazione narrativa. Lavori grafici eseguiti su fogli di bloc notes o di risulta. Non schizzi o abbozzi ma opere a se stanti, in cui la casualità del supporto documenta la genesi sorgiva, rivelando in ciascuna di esse la contingente necessità espressiva. Nella fruizione non è difficile distinguere disegni più immediati, corsivi, in cui l’artista, in preda a furor creativo, ha percorso il foglio con tratti energici e compendiari, da altri più precisi, forse anche più meditati, in cui la mano si è soffermata volentieri a delineare i dettagli o a campire gli spazi, senza mai cadere, però, nella più facile vena narrativa.
Quello di Cucchi è un vocabolario figurativo e simbolico al tempo stesso, che rappresenta senza ritrarre, che racconta senza svelare. Un registro di poche immagini ricorrenti attraverso cui descrivere l’entropia del presente, la solitudine esistenziale e il dramma del vivere. Caseggiati composti da parallelepipedi con tetti spioventi, infantili quanto colti (non troppo distanti da quelli che Giotto a riprodotto in alcune delle sue mirabili scene), passeri di profilo sovrapponibili a geroglifici egizi, ingigantite gocce di pioggia simili a comete in caduta libera su paesaggi desolati, skyline anneriti di vedute indefinite, e soprattutto figure umane, solide, granitiche, a volte ipertrofiche, tanto da costituire il dorso di una montagna, in piedi o accovacciate, solitarie o in processione verso un altrove lontano e incerto. Soggetti carichi di memoria, eseguiti tra il 1985 e il 1991 (estremi cronologici dei disegni in mostra), ma che ancora ricorrono nella produzione attuale, segnando un percorso di grande coerenza e attualità.
Dieci opere di dimensioni ridotte, eseguite con mezzi essenziali (china, biro, carboncino e grafite), dettate da abilità segnica e fervida immaginazione. Vere e proprie epifanie, più simili a rebus che a rivelazioni, pongono lo spettatore d’innanzi ad un mondo tragico, in bianco e nero. Uniche varianti ammesse le variazioni tonali della carta e il rosso saturo di una biro, utilizzato nel disegno più piccolo tra quelli esposti, per dare corpo ad uno scenario roccioso insanguinato in cui una figura umana appare sola ed indifesa, aggiungendo desolazione a disperazione. Il segno è cangiante, costantemente mutevole, ora netto, ora sfumato, mentre le campiture appaiono sature, di un nero che nel rapporto con la luce si anima di inaspettati bagliori. Le atmosfere, sospese e inquiete, sono determinate da associazioni imprevedibili, caratterizzate da un gioco continuo di pieni e vuoti, variabile da opera ad opera.
La sua figurazione contamina elementi naturali ed antropici generando non-luoghi in cui tutto è posto in discussione. Leggi prospettiche, varianti cromatiche, rapporti anatomici, regole compositive, tutto è negato in nome di un’espressività libera, proiettata nel futuro con la consapevolezza del passato. “Disegni che sintetizzano la catastrofe nell’immediatezza del segno” li ha felicemente definiti la curatrice, in cui ogni segno vitale è sopito ma non annullato, determinando una sensazione di perenne attesa, a metà strada tra realismo magico e inquietudine espressionista.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 18 giugno
Dal 18 giugno al 17 luglio 2016
Dieci disegni – Enzo Cucchi
Galleria Scaramuzza Arte Contemporanea
Via Libertini 70, 73100 Lecce
Orari: dal martedì alla domenica dalle 17.00 alle 21.00
Info: +39 329 7325036 – +39 393211891
http://scaramuzzartecontemporanea.weebly.com/contatti.html

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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