La Provincia di Lecce, in collaborazione con la Regione Puglia, ha investito nel progetto Salento Negramaro. Rassegna delle culture migranti, organizzato da Time Zones col coordinamento di Guillermina De Gennaro. E Lecce ha destinato un imponente spazio –la sconsacrata chiesa di San Francesco della Scarpa– alla mostra Africani in Africa, un pacchetto a cura dei monegaschi Marco Parri e Luca Faccenda, proveniente da Firenze (il catalogo è una riedizione della pubblicazione del 2004), con i suoi 20 artisti a rappresentare l’Africa Nera, ovvero gli stati della fascia equatoriale.
Una fetta di arte africana che cerca di reagire all’offerta artigianale del “primitivo” più folkloristico, così come al multiculturalismo imposto dagli ex colonizzatori. Arte erede del genere Tingatinga, il più famoso stile pittorico tanzaniano, nato negli anni ’60 e riferito all’omonimo artista autodidatta che dipingeva animali fantastici su assicelle di legno. Opere di bricolage e riciclaggio “per emergenza”, su supporti in masonite e con lacche acriliche economiche che determinano vivacità cromatica e campiture piene, senza sfumature. Opere dall’aspetto naif, “incellofanate” con vernice trasparente (la clear vernish). Genere cui possono ascriversi i teatrini in miniatura di Tita o le insegne pubblicitarie pop di Souley; gli oli su carta telata contro la morte per fame e l’infibulazione di Wanjau o i riferimenti alla tradizione islamica di Mwai. E, ancora, le grandi installazioni in legno policromo e traforato di Salim (Kenya), spettacolari come i totem in legno dipinto di Uwuenwa (Nigeria), che ripropongono in chiave contemporanea stilemi tribali. Djess, attingendo alla cultura Mbuia e delle tribù Fang, esprime una figurazione al limite dell’astrattismo, quasi una “post-metafisica” alla Mark Kostabi.
Preponderante anche la corrente “neograffitista”: Benard Asante (Ghana), convinto animalista, secondo la tradizione Asante (stirpe nobile, nota per l’usanza di inanellare il colli delle donne) disegna grandi bozzetti zoomorfi decentrati e, per proteggerli dagli spiriti negativi, ne cancella il contorno con un segno a zig zag. Georges Lilanga (Tanzania; classe 1934, quotatissimo da Sotheby’s), spesso definito “il Picasso africano” e considerato precursore di Keith Haring, popola le grandi tele e le sculture lignee di curiosi personaggi, con grandi orecchie e bocche larghe, dall’espressività caricaturale e dai contenuti sociali: sono gli spiriti Shetani, entità favorevoli o capricciose che si susseguono fluttuanti nello spazio.
Nella nemica Kinshasa viveva invece Djambo –vittima, giovanissimo, nella lunga guerra fratricida- di cui è esposto un intenso altorilievo dipinto con una giovane madre e figlioletto; qui oggi vive Lukawu, che con le sue “mani protese”, intima l’Alt! ad Aids e distruzione della fauna selvatica. Anche se l’arte africana si dipana molto più sul versante maschile, risaltano patchwork di latta di Margaret Majo (Zimbabwe), un bestiario dei temi etnici tribali della sua terra.
Nel complesso, Africani in Africa offre un saggio parziale rispetto a quello offerto dalla Biennale di Dakar in Senegal –la più grande rassegna di arte africana al mondo, vero termometro dell’identità artistico-culturale e antropologica e della temperie politico-sociale contemporanea di questa parte d’Africa–, che resta l’unica rassegna a non aver ceduto ad una furba omologazione occidentalizzante (vedi le Biennali Johanesburg in Sudafrica, del Cairo in Egitto o di Abijan in Costa d’Avorio).
giusy caroppo
mostra visitata il 20 agosto 2006
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