Grazie all’Associazione Culturale Marcovaldo e al CESAC, in collaborazione con Zutart, una variegata collettiva approfondisce per la prima volta in Italia una delle maggiori correnti polacche del XX secolo: il costruttivismo. L’evento risulta particolarmente significativo, anche considerando che moltissime opere ad esso attribuite sono state irrimediabilmente danneggiate o distrutte.
Suddivisa in due sezioni principali, una dedicata alle arti visive e una all’architettura, l’esposizione comprende lavori prodotti tra prima e seconda Guerra, sebbene l’inizio del movimento si faccia generalmente coincidere con la realizzazione a Vilna, nel 1923, della Prima Esposizione dell’Arte Nuova, e il suo scioglimento si sia verificato nel ’39, dopo un decennio di progressiva e inevitabile alienazione.
Nonostante il numero dei pezzi raccolti possa apparire piuttosto esiguo, in realtà la selezione è esaustiva: sculture, mobili ed arredi, progetti e planimetrie, bozzetti di manifesti, dipinti (Henryk Berlewi, Autoritratto, 1922), disegni (Barbara Brukalska, Disegno con pipa, matita e pellicola, 1925), collages e fotomontaggi (Kazimierz Podsadecki, Le mani parlano, 1933), film (in video i capolavori restaurati di Stefan Themerson).
Nell’esordio pubblico di Vilna emersero personalità fondamentali quali il padre dell’unismo Wladyslaw Strzeminski e la moglie Katarzyna Kobro, insieme alla direzione del gruppo UNOVIS a Vitebsk: Teresa Zarnower e Henryk Stazewski.
In quell’occasione, inoltre, Mieczyslaw Szczuka –che successivamente redasse Cosa è il costruttivismo, manifesto incentrato sull’inscindibilità dell’arte dalle tematiche sociali– esortò i suoi contemporanei a servirsi delle recenti tecnologie e ad impiegare le proprie facoltà nei processi produttivi, al fine di “affermare i valori costruttivi dei nuovi materiali e creare oggetti dotati di significato pratico” (Alessandro De Magistris in catalogo). A Varsavia fu istituito, di lì a poco, il Blocco dei cubisti,
La Polonia rappresentò un punto di confluenza di tensioni ideologiche assai importante: i suoi intellettuali, infatti, subirono l’influenza radicale delle idee rivoluzionarie sovietiche e delle avanguardie parigine e tedesche. In architettura, uno degli obbiettivi predominanti fu il ruolo educativo e socialmente formativo che il movimento stesso avrebbe dovuto assumere, in funzione della concezione olandese, ma soprattutto dei principi alla base del Congrès Internazionale d’Architecture Moderne.
Anche il futurismo italiano ebbe la sua parte, seppur riconducibile perlopiù agli ambiti tipografici, fotografici e cinematografici. Del resto, proprio Jalu Kurek, con un occhio costantemente rivolto al cinema europeo, fu uno dei più ardenti sostenitori, nonché traduttore, di Filippo Tommaso Marinetti.
In territorio polacco, impossibile negarlo, il costruttivismo si rivelò una corrente prolifica, vivace, e come diremmo oggi, aperta alle contaminazioni: costituita, insomma, da “pittori che facevano gli architetti, architetti che facevano i grafici, grafici che facevano i poeti…”, per usare le parole della curatrice Silvia Parlagreco.
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articolo molto ben scritto per mostra importante.. un lato storico del costruttivismo poco noto ma decisamente importante..
roberto matarazzo