Nel Paese delle Meraviglie non c’è stata solo Alice. Qualcun’altra ha fatto incetta di quei tesori allucinatori. Quando ci si accosta ai lavori di Fulvia Mendini, si capisce chi è stata. Il suo è uno stile iper-piatto adatto ad un linguaggio lineare, sintetizzato secondo natura. Un linguaggio influenzato dalla variegata gamma cromatica presa a prestito dai nuovi media. Il lavoro si muove seguendo i caratteri tecnici dei disegni in vettoriale e delle animazioni in Flash, senza abbandonare l’ereditaria attenzione all’abbecedario grafico. La Mendini reagisce al supporto ligneo sfoderando una tempesta acrilica di differenti linee e forme. Tutte le geometrie sono, infatti, inseguite da motivi ricorrenti e decorazioni squillanti, come voci in fiera. La ripetizione dei soggetti dipinti, in prevalenza volti e invenzioni botaniche, permette di spaziare alla ricerca di uno stile limpido, eppure lampeggiante. Nei ritratti, infatti, spicca un bilanciamento cromatico spontaneo e una raffinatezza infantile che mette in risalto la precisione minuta del particolare. Sono visi bidimensionali, con nomi che parlano quanto l’uomo, o la donna, che li porta. E tutti sono esposti a coppie, legati l’uno all’altra da richiami che si appartengono. Come nella vita vera.
Hanno sguardi vitrei, profili angolosi e superfici dermiche terse. Per ognuno c’è un particolare che li contraddistingue. Il bottone slacciato di un colletto, uno sfondo pulsante alla Katz, un ciuffo di capelli che incide la fronte, o un sopracciglio pensoso. L’aria sospesa attorno a questi primi piani è fissa, dolce.
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