Due personaggi particolari, singolari, dalla personalità misteriosa ed affascinante che traspare dalle rispettive opere: quadri e libri. Una moltitudine di suggestioni, di leggende, di simboli affascinanti caratterizzano l’immaginario di Edgard, padre e pittore, legato alle vicende ed alle ricerche linguistico espressive degli anni Venti e Trenta in Europa: anni ricchi di sperimentazioni, di quesiti, di dubbi e interrogativi. Sono domande che portano al Simbolismo, all’Espressionismo, alla Metafisica dechirichiana, correnti che rientrano solo in modo parziale e rielaborato nei dipinti in mostra e che insieme si mescolano in figure ricorrenti: conchiglie, sedie, statue, animali, atmosfere oniriche o ambientazioni decontestualizzanti. Magritte piuttosto che Dalì o Matisse. Angeli, ali, colombi.
L’uso dei colori è finalizzato a realizzare delle campiture precise, nette, geometriche. Spesso lo spazio pittorico è diviso in due parti da una linea di campo, di orizzonte, che non esprime la calma piatta degli sfondi bicromatici di Morandi, bensì l’indeterminatezza e l’infinità del campo ottico e del reale, vago, incerto, animato da figure diafane, come ombre o fantasmi, che spesso spariscono per lasciare posto ad oggetti inanimati. Ricorrono le sedie, con cui si prende immediatamente possesso di una porzione di mondo. Il colore è usato anche per sottolineare uno o più particolari sulla tela. Spesso è il rosso: il cromatismo attira l’attenzione, focalizza lo sguardo e lo conduce in un percorso di lettura del quadro predeterminato, sostenuto anche dalla nitidezza e dalla marcatura dei contorni.
Mostra singolare quanto interessante quella dedicata a Edgard Ende, cui non corrisponde un altrettanto ben strutturata sezione dedicata all’opera letteraria del figlio, il famoso Michael, autore di storie incantevoli e di racconti capaci di aprire voragini di interrogativi e di riflessioni sul senso della vita, proprio come i quadri del padre. Benché le precise intenzioni del curatore, Vittorio Fagone, Direttore per ben sei anni di fila della Galleria d’Arte Moderna di Bergamo, fossero di farne una sezione particolarmente dedicata e studiata per i bambini, agli adulti che amano e conoscono le opere di Michale Ende e che scelgono di visitare questa insolita mostra, non resta che constatare la povertà e banalità di riferimenti ad un complesso mondo iconografico mentale che lo scrittore è maestro a creare ed evocare con i suoi libri.
L’allestimento di questa seconda parte dell’esposizione, infatti, appare semplicistico e riduttivo e poco consono ad incantare anche i piccoli visitatori, per i quali è stato espressamente pensato: ormai abituati a spazi gioco superattrezzati che per loro vengono collocati in fast food e ipermercati, i pannelli di truciolare, la casetta colorata e qualche ritaglio di giornale sembrano davvero poco per catturare la loro attenzione.
Nonostante ciò, la visita alla mostra è consigliabile soprattutto per la possibilità che offre di conoscere un grande pittore tedesco degli anni Trenta, avversato e condannato dal regime nazionalsocialista per la sua arte degenerata e per cogliere i diretti e continui rimandi simbolici e narrativi tra l’opera del padre pittore e del figlio scrittore. Sembra infatti che tutte le storie del secondo fossero in parte già state narrate e/o rappresentate dal padre.
Francesca Pagnoncelli
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