Hathor Head amulet with gold inlay. Dynasty 22. Lapis Lazuli, gold. H: 5,5 cm. W: 5,3 cm. Egyptian Museum, Cairo. Photo credit: © Fotografie di Massimo Listri
Da millenni, la cultura dell’Antico Egitto abita con delicata persistenza l’immaginario occidentale: intrigante, misteriosa, lontana. Un mito, quello dell’Egitto, che è stato plasmato e reinterpretato nei secoli, si pensi all’Ottocento che ne fece un sogno orientalista o, ancora, al Novecento che lo rese un laboratorio di simboli. Un’arte, quella egizia, capace di trasmettere un senso di eternità: non a caso si tratta della cultura che, più di ogni altra, ha fatto dell’arte un vero e proprio mezzo “fisico” di connessione con l’eterno. Proprio in questi mesi, due grandi mostre celebrano la cultura dell’Antico Egitto, da New York a Roma, in due importanti istituzioni culturali. Divine Egypt, al Metropolitan Museum, riflette sul linguaggio del sacro, mentre Tesori dei Faraoni, alle Scuderie del Quirinale, ne restituisce la potenza materiale. Insieme, queste due esposizioni tracciano la geografia di un disegno che sa essere archeologico e mitologico insieme.
Visitabile fino al 19 gennaio 2026, Divine Egypt porta al Metropolitan Museum of Art di New York quasi 250 opere e oggetti appartenenti alla collezione permanente e in prestito da istituzioni come il Museum of Fine Arts di Boston, il Musée du Louvre di Parigi e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Tra questi, la celebre triade in oro e lapislazzuli di Osorkon II, raffigurante Osiride, Iside e Horus, il frammento di una statua colossale in pietra calcarea del dio Min e ancora il gruppo in cui Micerino è ritratto insieme alla dea Hathor e la personificazione della Regione della Lepre.
Nell’antico Egitto, le immagini delle divinità non erano semplici rappresentazioni, ma avevano la funzione di dare la vita agli dèi stessi. Per gli Egizi, proprio attraverso le raffigurazioni divine in tombe, templi e santuari, il pantheon poteva partecipare attivamente e offrire, in tal modo, un collegamento vitale tra il mondo umano e quello divino.
A cura di Diana Craig Patch e Brendan Hainline, rispettivamente responsabile e ricercatore associato presso il dipartimento di Arte Egizia al Met, la mostra si prefigge di immergere il visitatore in un viaggio che attraversa millenni di iconografia divina egizia, svelando come gli dèi – più di 1.500, spesso con forme e caratteristiche sovrapposte – permeassero ogni momento della vita quotidiana e offrissero sostegno e significato di fronte alle incertezze dell’esistenza e al mistero della morte.
Alle Scuderie del Quirinale, Tesori dei Faraoni sposta invece lo sguardo dall’immaginario al corpo politico del sacro. Curata da Tarek El Awady e in programma dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026, la mostra riunisce reperti straordinari, con ben 130 capolavori in prestito dal Museo Egizio del Cairo e dal Museo di Luxor, fra cui la triade di Micerino con la dea Hathor, il sarcofago d’oro della regina Ahhotep, la maschera funeraria di Amenemope e la copertura di Psusennes I. Anche il Museo Egizio di Torino, con un suo pezzo particolarmente significativo, prenderà parte alla mostra.
L’esposizione offrirà una panoramica amplissima, partendo dalle origini della civiltà faraonica per arrivare a raccontare lo splendore dei grandi sovrani del Nuovo Regno e del Terzo Periodo Intermedio, toccando anche le scoperte archeologiche più significative degli ultimi anni. Se il Met indaga la costruzione teologica del potere, Roma ne mette in scena l’iconografia. Oro, pietra e luce.
A rafforzare ulteriormente il dialogo che attraversa i continenti, il 1° novembre avverrà anche l’inaugurazione ufficiale del Grand Egyptian Museum, il colosso museale a pochi chilometri dalle Piramidi di Giza, con le sue 12 grandi sale e 32mila metri quadrati di spazio espositivo. A seguito di un investimento che supera il miliardo di dollari, l’annuncio dell’apertura – dopo parecchi rinvii – è arrivato dal primo ministro egiziano Mostafa Madbouly, nel corso di una riunione del Gabinetto tenutasi nella Nuova Capitale Amministrativa.
«Sono in corso i preparativi per garantire che l’evento rifletta l’entità e il significato di questo momento storico. L’apertura sarà contrassegnata da presenze internazionali e attivazioni culturali speciali, che celebrano il patrimonio senza tempo dell’Egitto su un palcoscenico globale», ha annunciato il Governo egiziano. Un museo che sicuramente segna un passo incredibilmente importante per la politica culturale egiziana, aprendo le porte di un luogo che si erge a manifestazione della memoria di un Paese dal passato così importante.
E mentre l’archeologia continua a raccontare la storia – dentro e fuori l’Egitto – l’arte contemporanea la rilancia nel presente e ne permette una reinterpretazione attiva. A cura di Nadine Abdel Ghaffar, Art d’Égypte annuncia i partecipanti alla quinta edizione di Forever Is Now, con dieci artisti da dieci Paesi, tra cui anche l’italiano Michelangelo Pistoletto. La mostra, che si terrà dall’11 novembre al 6 dicembre 2025 sullo sfondo senza tempo delle Piramidi di Giza, proporrà una reinterpretazione del significato di resistenza ed eredità attraverso motivi tratti da geroglifici, indumenti, palette cerimoniali e persino dal cosmo, indagando il desiderio umano di immortalità.
Un gesto che chiude idealmente il cerchio, mettendo in luce un Egitto che, vestito del suo glorioso passato, si fa anche fucina di immagini nuove. Un linguaggio che non è – e non è mai stato – solo rappresentazione estetica ma sempre espressione di una spiritualità e di una concezione del mondo.
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