Un recente studio scientifico pubblicato sulla rivista accademica Antiquity ha affermato che i primissimi anni in cui i marmi del Partenone furono esposti in Gran Bretagna causarono danni irreparabili. Molto peggio di quanto avrebbe causato l’inquinamento atmosferico di Atene, se le sculture fossero rimaste al loro posto, dal 1801, quando Lord Elgin le rimosse dalla loro legittima sede sull’acropoli ateniese, ai giorni nostri. Insomma, gli esperti del King’s College di Londra dichiarano che tra il 1801 e il 1872, gli inestimabili manufatti greci subirono più danni di quanti ne avrebbero subiti nei successivi 120 anni messi insieme. Dunque, se le sculture fossero rimaste ad Atene, non solo avrebbero sopportato tranquillamente l’inquinamento della città, ma si troverebbero anche in condizioni migliori di quanto siano adesso.
Piuttosto imbarazzante per i sudditi della Regina, visto che una delle tesi più usate per giustificare non tanto la spoliazione, per la quale bisogna pur considerare il contesto storico, quanto la mancata restituzione dei marmi alla Grecia, ha sempre preso in esame le ottime condizioni di conservazione delle sculture al British Museum di Londra. Inoltre, qualche mese fa, fecero discutere le immagini delle pozze d’acqua caduta dal tetto in vetro della Duveen Gallery, l’ala del British Museum che, tra le altre cose, ospita proprio i Marmi del Partenone.
In effetti, la procedura è piuttosto intuitiva. Gli studiosi britannici hanno condotto accurate scansioni 3D sulle diverse parti del fregio occidentale, attualmente esposte all’Acropolis Museum di Atene, sede aperta a giugno 2009 e progettata dall’architetto svizzero Bernard Tschumi in collaborazione con Michalis Fotiadis. Quindi, si è proceduto a una comparazione con i manufatti conservati al British Museum ed ecco la rivelazione, poi non tanto sorprendente.
I ricercatori hanno infatti scoperto che durante i primi settant’anni a Londra le sculture hanno attraversato un periodo di deterioramento particolarmente rapido. La causa più probabile di questo deterioramento sembrano essere stati i metodi di pulizia una volta impiegati dal British Museum, che hanno causato danni significativi alle sculture. Sono ancora visibili, infatti, i segni lasciati dalle scalpellature apportate in epoca vittoriana. In Gran Bretagna, infatti, le tecniche di restauro delle opere d’arte, almeno fino a qualche decennio fa, erano piuttosto aggressive, seguendo l’impostazione critica di un presunto ritorno allo splendore delle origini. Ma anche prediligendo una certa spettacolarità.
La Grecia ha così un nuovo argomento, per chiedere il ritorno delle sculture ad Atene, una discussione che ormai va avanti da decenni e che ha avuto il merito di aprire un ampio dibattito sulle collezioni dei maggiori musei occidentali, spesso frutto di spoliazioni risalenti all’epoca del colonialismo. Il British Museum ha rifiutato categoricamente di restituire gli inestimabili manufatti e il direttore Hartwig Fischer ha addirittura affermato che il furto sarebbe da considerare «un atto creativo», sostenendo che il Museo di Londra è l’unico proprietario legale. Forse per la burocrazia – e per la bigliettazione – ma non per la storia.
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