Categorie: Archeologia

Sardegna, isola megalitica: la mostra al Neues Museum di Berlino

di - 27 Settembre 2021

L’odore del mirto, il sole accecante, l’immobile bellezza, indifferente alla corsa alla modernità. La mostra “Sardegna, isola megalitica – Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo” ha portato un pezzo di Sardegna nel cuore di Berlino: ospitata dal Neues Museum, l’esposizione, che presto partirà alla volta della ancor più fredda Russia per poi far ritorno in Italia, al MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ha offerto agli occhi dei visitatori oltre 200 reperti della antichissima civiltà sarda.

Nel percorso che si muove fra la Vaterländisches Saal e la Troja Saal e che attraversa 3mila anni di storia, dal 4500 al 1500 a.C. colpiscono a prima vista, per dimensioni e inusuale bellezza, una delle monumentali sculture in arenaria di Mont’e Prama (alta 190 centimetri per 300 chilogrammi di peso) e le Domus de Janas, tombe risalenti al Neolitico e all’Età del Rame. Ma i veri tesori dell’esposizione sono le iconiche statuette delle dee madri e dei guerrieri, autentici capolavori unici nel loro genere. La particolarità della mostra è indissolubilmente legata alla singolarità della Storia dell’isola di Sardegna. Troppo lontana dall’Italia (ma in realtà troppo lontana da tutto) la sua cultura si è plasmata secondo dinamiche spesso differenti da quelle dominanti nel resto d’Europa. La posizione strategica dell’isola, nel cuore del Mediterraneo, l’ha resa crocevia delle civiltà preistoriche e protostoriche, conferendole un ruolo fondamentale anche per i commerci nel Mar Tirreno e nell’Europa centro-settentrionale.

Ma ciò che più affascina della Storia sarda, e che non può essere trasportato fra le sale del Museo, sono i reperti giunti dal 1600 a. C. fino a noi, i cosiddetti Nuraghe, antichissime abitazioni coniche formate da blocchi di pietra, presenti solo sul territorio dell’isola e in nessun’altra parte del mondo. La civiltà nuragica si è sviluppata in Sardegna dall’Età del Bronzo fino all’Età del Ferro, nel periodo compreso tra il 1600 a.C. fino al momento della conquista dell’isola da parte dei Romani. Il suo nucleo fondamentale era la famiglia, la cui figura dominante era il patriarca. Gli insiemi delle famiglie costituivano i Clan, che a loro volta formavano la Tribù. Le famiglie erano suddivise in classi sociali: la classe dei guerrieri era di fondamentale importanza per la difesa dall’attacco di altre tribù, ma anche dalla dominazione di popoli stranieri, come i cartaginesi prima e, in seguito, i romani.

La religione praticata dai nuragici era di tipo politeista e naturalista. La Gran Madre, raffigurata appunto nelle statuine in esposizione al Neues, dea della fertilità e della maternità; e il dio Toro, scolpito sulle pareti delle abitazioni, erano le divinità principali, successivamente in parte sostituite dalla divinità Acqua. All’acqua era dedicato il pozzo sacro, l’edificio che più di tutti caratterizza le popolazioni nuragiche. Oggi nel comune di Orune, in provincia di Nuoro, è possibile ammirarne uno degli esemplari più belli e meglio conservati, Su Tempiesu, visibile anche nel percorso espositivo nel video dedicato.

Tanti sono gli interrogativi ancora aperti sull’evoluzione sociale dei popoli sardi, ma ciò che più affascina della singolare storia di questo piccolo pezzo d’Italia è qualcosa che non può esser trasportato nelle sale di un museo. I paesaggi in cui sorgono i reperti che testimoniano il passaggio delle civiltà nuragiche sono essi stessi reperto, elementi imprescindibili per una comprensione reale. Perché, mentre tutto il mondo si arrendeva all’Impero Romano e alle successive dominazioni, mentre ogni civiltà distruggeva, modificava o inglobava quella precedente, su quel pezzo di terra bruciata dal sole disseminata di macchia mediterranea, ostile e di scarso interesse per i dominatori, resistevano i monumentali coni di pietra e i villaggi spiraliformi. Restano così sotto ai nostri occhi, come sotto agli occhi di uomini e donne nati 3600 anni fa.

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