Al Mam sono esposte opere caratterizzanti lo sviluppo artistico nel contesto di Düsseldorf dagli anni ’60 ai giorni nostri. Il quadro storico è quello di una Germania uscita dall’esperienza nazista. Se gli artisti informali, nel resto d’Europa, preferiscono distogliere lo sguardo dall’incubo della realtà, a Düsseldorf
Joseph Beuys si affida alla redenzione dell’uomo attraverso la pratica artistica, mentre d’altra parte i coniugi
Bernd e
Hilla Becher fanno dell’osservazione del reale il motivo profondo della loro ricerca.
La mostra parigina si divide essenzialmente in tre sezioni. Una dedicata ai Becher e i loro allievi che, in concomitanza con i cambiamenti storico-sociali, mutano modalità e sviluppi dell’investigazione dei maestri. Una seconda a quegli artisti che, continuando nella scia dadaista e più puramente concettuale, indagano ontologicamente il concetto di autorialità e il ruolo dell’artista. Infine, in una terza e ultima sezione, s’indaga un atteggiamento altrettanto sperimentale, al quale corrispondono immagini politicamente impegnate, con la desolazione dei luoghi e la solitudine dei corpi. D
ifficile perciò trovare un filo conduttore, se non nella meditazione sullo statuto dell’immagine nella società contemporanea e in una tendenza alla catalogazione e alla riscrittura del reale.
Il grande formato, prerogativa di molte fotografie in mostra, pone l’autore in uno spazio esperibile necessariamente attraverso il tempo. Il soggetto è inserito nella
mise en scène silenziosa di “
spazi pittorici” (
Elger Esser) o nei luoghi della significazione (
Thomas Struth). Nelle immagini di
Andreas Gursky, lo spettatore, in quanto soggetto umano apparentemente ignaro della propria condizione, si posiziona al di fuori di una messa in scena del sublime. Nelle fotografie pixelate di
Thomas Ruff la realtà, codificata attraverso l’informazione, risulta una costruzione metaforica dell’esistente, in cui ai fatti si sostituiscono i simulacri.
Il minimalismo delle immagini di
Hans-Peter Feldmann è lacerato da una temporalità in antitesi con l’istante fotografico. L’“è stato”, già messo in discussione attraverso le pratiche di post-produzione, si dilata fino a comprendere ogni possibilità narrativa. Nel lavoro di
Ursula Schulz-Dornburg la meditazione sul tempo si concentra sui movimenti di luce e ombra e su luoghi in cui vi è un cortocircuito fra storie accadute e possibili. La storia logora la forma.
Nella sua pratica narrativa,
Gerhard Richter utilizza indistintamente scatti personali e fotografie trovate. L’atto creativo non consiste nella produzione, bensì nella selezione dell’esistente e nella successiva
composizione di momenti trascorsi. Infine,
Spicher di
Jorg Sass, in cui il fruitore è invitato a montare, tra le varie fotografie messe a disposizione in un box, una storia dalla significazione aleatoria. È la morte dell’autore in senso barthesiano.