Il futuro dell’arte? Ma il reality show, naturalmente. Direttamente da New York, SoHo, patria ideale dell’arte americana. Da una comunione di idee e interessi disparati, tutti convergenti nella volontà di realizzare un ragionamento complesso sul rapporto tra arte e sua spettacolarizzazione, oltre che compiere un’analisi specifica di pratiche e relazioni che presiedono alla creazione di un’opera. Soffermandosi sul binomio sistema-mercato e i conseguenti dilemmi della mercificazione del prodotto artistico e della successiva perdita d’aura. Il problema posto dai creatori di quest’invenzione made in Usa –Christopher Sperandio, artista, e James Fuentes, gallerista (chissà se qualcuno di loro conosce il lavoro del nostro FrancescoVezzoli che proprio di reality aveva parlato in occasione della sua recente personale alla Fondazione Prada di Milano)– consiste nel far confluire speculazioni puramente settoriali (cercando la risposta a domande come: ci sono artisti in grado di portare avanti la ricerca, pur sotto i riflettori? Può un progetto simile dar vita ad una collettiva di qualità?) nella godibilità di un programma di intrattenimento accessibile a tutti.
Il titolo, Artstar, volutamente provocatorio, risponde all’intenzione di compiere, con ironia, una vivisezione del fenomeno scaturito dal successo internazionale de “Il Grande Fratello”, e allo stesso tempo rappresenta l’ultima frontiera di un discorso inaugurato negli anni ’90, concernente il sensazionalismo in arte, con la Young British Art e Maurizio Cattelan a far da capostipiti.
Il successo è stato notevole. Nelle settimane scorse, infatti, in occasione dei casting per la scelta dei protagonisti, gli artisti americani hanno letteralmente invaso lo spazio espositivo di Wooster Street: giovani agguerriti, abbigliati insolitamente, con book o computer sottobraccio, hanno sospirato per ore un’occasione. E si è visto anche qualcuno munito di sacco a pelo, qualora l’attesa si fosse prolungata oltremodo. Tuttavia, non sono mancate le polemiche -che per queste iniziative sono il sale- sulla serietà dell’operazione o sull’eventuale attinenza con l’universo che questa va ad indagare. “Non c’è da temere” ha commentato Deitch “agli artisti non è richiesta una convivenza forzata con gli altri concorrenti, né la manifestazione oscena di lacrime e sentimenti a cui siamo stati abituati”. Possiamo tirare un sospiro di sollievo…
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SAREBBE BELLO CHE QUALCUNO LO OGANIZZASSE IN ITALIA...è DA TEMPO CHE LO DICO!!!
IN ITALIA SAREBBE UNA GRANDE COSA!!
Titolo geniale, ma chi sieteeee