Alia Farid, Chibayish, video, installation view, 2022, ph. Stefania Zanetti e Matteo Bellomo
Non la fissità del grande monumento rinascimentale, bensì la vitalità germinale di un palinsesto inquieto, permeabile e aperto alla riscrittura. Così Villa Imperiale di Pesaro si è offerta nei primi cinque anni di Against Sun and Dust, rassegna sperimentale di arte contemporanea e performance che dal 2020 ne ha riattivato la complessa macchina scenica, convertendola, nello spazio di una notte, in un organismo “crono-caotico”, capace di tenere insieme tempi e linguaggi differenti. Curato da Cornelia Mattiacci e Alessandra Castelbarco Albani, il progetto ha condotto la Villa alla continua metamorfosi, dove spazio architettonico e innesto (con)temporaneo si sono misurati a vicenda, generando attriti e risonanze. A raccontarne oggi le traiettorie e le stratificazioni è un volume che riavvolge cinque anni di attraversamenti e di pratica conservativa sperimentale. Abbiamo fatto il punto con le due curatrici.
Il libro recentemente pubblicato racconta i cinque anni di Against Sun and Dust in forma di cronistoria. In che modo questa scelta dialoga con l’idea di Anti Historia – tema dell’edizione 2023 – che rivendica ambiguità e paradossi insiti in ogni narrazione?
C.M.: «In qualche misura, l’approccio antistoricista è rintracciabile in tutte le edizioni: non è negazione dei fatti, ma una sensibilità che accoglie il frammento, la deviazione, la possibilità di riscrivere. Il libro amplifica questa tensione: è un montaggio di materiali eterogenei che affianca testi critici, apparati visivi, tracce effimere. Abbiamo voluto che la lettura fosse un attraversamento, una sorta di promenade capace di restituire la natura processuale che caratterizza il progetto stesso. Noi stesse cerchiamo di pensare a Villa Imperiale come al contesto più sperimentale possibile; grazie ad Alessandra e alla sua famiglia, si accede a un sorprendente e affascinante intreccio di storie e materiali privati e pubblici che ha portato nel tempo a delineare l’identità del progetto. Del resto, guardando al passato recente, Pesaro ha una sua identità multidisciplinare legata al contemporaneo: scultura, grafica, cinema, opera lirica, architettura pubblica, graffiti, ceramica… persiste una vitalità creativa, un po’ periferica e disconnessa ma intensa, tra le persone che, in diversa misura, sono legate a Pesaro; con ASD, questa “comunità” si è rafforzata e ha attratto altre persone, dall’Italia e dall’estero. Il libro intende restituire anche queste prospettive multiple».
A.C.A.: «Anti Historia non sostituisce un racconto con un altro; scardina la pretesa di un’unica narrazione. Ed è esattamente ciò che accade nell’architettura della Villa, specialmente nel suo ampliamento cinquecentesco: una struttura anticanonica che Girolamo Genga, pittore e architetto, concepì come pastiche di elementi e modelli diversi, non riducibile a un’identità univoca. Against Sun and Dust riflette questa stessa condizione plurale, e il libro non la smentisce. Quest’ultimo è un’estensione dell’intera operazione oltre che un suo resoconto, perché lascia aperta la possibilità di ulteriori innesti, come accade ogni volta che la Villa viene attraversata».
Il vostro lavoro si è sempre mosso tra memoria e invenzione artistica. C’è stato un caso in cui avete percepito di “tradire” la Villa?
A.C.A.: «Molte volte. Ma l’architettura ha sempre saputo rispondere. Sono stati proprio questi “tradimenti” a entrare in accordo con la dimensione ambivalente della Villa, capace di assorbire linguaggi radicali senza incrinarsi. Essa contiene in sé la potenzialità di essere continuamente reinterpretata. Allo stesso tempo, siamo sempre state consapevoli che lavoriamo in un luogo fragile, dove ogni azione radicale deve misurarsi con le necessità di conservazione. È questo un equilibrio sottile, che sin dall’inizio è stato parte integrante di ASD».
C.M.: «Sì, direi anzi che il susseguirsi delle edizioni ha rappresentato un crescendo di sollecitazioni per la Villa, chiamata di volta in volta a misurarsi con azioni sempre differenti. Ma il nostro approccio di partenza è sempre quello di sondare la potenzialità latente del luogo; ad esempio, un’intera porzione della Villa è stata progettata come un fondale scenico, con nicchie passanti a misura d’uomo; non ci sono documenti che testimonino questo uso teatrale della Villa, ma grazie alle prospettive degli artisti contemporanei questa potenzialità trova espressione; Claudia Castellucci nel 2021 ha realizzato proprio in quest’area della Villa la danza della sua compagnia Mòra. Per noi ASD è un laboratorio continuo che ha mantenuto viva la sperimentazione, con risultati inattesi e sorprendenti».
Insomma, un cantiere di pratiche ibride
C.M.: «Assolutamente. In questi anni ASD si è progressivamente espanso verso l’esterno, cercando l’integrazione e il dialogo degli spazi: dalle sale interne ai giardini, fino al bosco che avvolge la Villa. È come se la sua natura di fortezza, nata come rifugio privato e inaccessibile, fosse stata ribaltata: l’apertura agli attraversamenti contemporanei l’ha resa disponibile a nuove relazioni. Ma l’ibridazione riguarda anche i linguaggi, che hanno unito arti visive, performance, video, musica, danza, editoria, così come le tipologie di figure coinvolte – artisti, architetti, registi, attori, musicisti, danzatori, food designer. Una pluralità di voci in cui ogni disciplina ha trovato spazio senza annullare le altre. In questo processo è stato fondamentale il contributo di molte figure curatoriali, da Ruggero Pietromarchi con l’esperienza di Terraforma – festival musicale che per anni si è svolto nel parco di Villa Arconati a Milano – a Niccolò Gravina ed Attilia Fattori Franchini, che hanno portato sguardi inediti, internazionali e arricchito la progettualità complessiva, così come la visione strategica e organizzativa dell’architetto Marco Di Nallo».
A.C.A.: «C’è poi un punto che per noi è diventato centrale: la Villa non è un elemento isolato, ma fin dalle origini nasce come epicentro di un paesaggio di prossimità. Percorsi, coltivi, bosco e viste verso Adriatico e Appennini fanno corpo con l’edificio; lavorando qui abbiamo allargato lo sguardo dall’oggetto-architettura alla rete di relazioni che la circonda, fino a capire che l’Imperiale è insieme matrice e sintesi del paesaggio che la abbraccia.»
E il pubblico?
A.C.A.: «Il pubblico è naturalmente il controcanto fondamentale, attore implicato. Penso soprattutto alla performance di Ivan Cheng, Oil Rig Elision (Tempesta d’amore), 2023, in cui i confini tra artista, operatori e visitatori si sono dissolti. I giardini e la terrazza della Villa sono diventate le scenografie per una soap opera corale, in cui i personaggi si intrecciavano con chi li osservava, generando scene continue e imprevedibili. Oppure la performance Sosia di Jacopo Benassi nel 2022, in cui musica, fotografia e corpi in movimento hanno costruito un dispositivo che inglobava i visitatori».
Come pensate possa evolvere questa espansione/ibridazione?
C.M.: «L’Imperiale offre moltissime potenzialità per immaginare nuove traiettorie. Sin dalla prima edizione, attraverso la collaborazione con lo studio No Text Azienda ci siamo concentrati sugli aspetti meno “visibili” della Villa, seguendo anche una fascinazione tecnologica, che attraverso AI, fotogrammetrie, riprese di vario tipo, ha dato forma al racconto virtuale di ASD. Tra gli artisti recentemente coinvolti, Cyprien Gaillard ha ampliato la prospettiva alla città di Pesaro e alla costa adriatica, mettendo in evidenza il clash tra riviera club culture e il Rossini Opera Festival, tra i borghi dell’entroterra collinare e le spiagge del turismo intensivo, fino alle falesie del Monte San Bartolo, da cui affiorano reperti fossili in risonanza con la storia culturale e geologica dell’Imperiale. Le edizioni 2023 e 2024 sono state realizzate in collaborazione con altre realtà – come l’associazione culturale INCURVA – e istituzioni locali e nazionali, all’interno dell’esperienza di Pesaro Capitale Italiana della Cultura. Una rete che ci piacerebbe espandere, mantenendo sempre nell’Imperiale il fulcro concettuale di ASD.»
A.C.A.: «Rafforzare la rete di interlocutori provenienti da altri contesti alimenta esperienze, concetti e pratiche che si arricchiscono reciprocamente. Ancora una volta, questa sarebbe una direzione in linea con la storia del luogo, come quando nel Rinascimento si costituivano direttrici geografiche trasversali, grazie alle persone che animavano i programmi culturali dei vari centri. Ma quello che dice Cornelia è vero: paradossalmente potremmo spingerci fino all’infinitamente piccolo – e lo dico sorridendo – osservando i dettagli minimi, i materiali che cambiano con il tempo. Anche in queste micro-scale si aprono possibilità inedite».
Le oltre quattrocento pagine di Against Sun and Dust 2020–2024 rappresentano una prima tappa nella possibile costruzione di un archivio aperto. Vi si delinea una musealità espansa e dinamica, in cui la conservazione coincide con la pratica performativa e l’istituzione diventa dispositivo processuale. L’auspicio è che il modello possa rivelarsi replicabile e costruire paradigma innovativo per altri siti patrimoniali, così da consentire loro di superare i limiti locali e dialogare con istanze globali. Il bilancio è provvisorio, com’è giusto per un cantiere che misura il tempo camminando.
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