Luogo: Raštević, provincia di Zadar, una volta Jugoslavia, ora Croazia
I primi scrittori ad aver descritto i popoli slavi meridionali notavano che “Vivevano senza autorità e nell’odio reciproco. In anarchia e disaccordo”. I primi arabi ad averli descritti in letteratura raccontavano di un popolo alto, fisicato e senza pudore che cantava e suonava. Queste descrizioni risalgono a molto prima della divisione tra i serbi e i croati. Da allora, il frangente di territorio che comprende Raštević è stato notoriamente il confine tra due imperi, quello austro-ungarico e quello Ottomano, mentre a sud confinava con la Repubblica di Venezia.
Un’altra identità visiva interessante avviene negli anni 60 quando i registi tedeschi scelgono di girare i film western su questo paesaggio arido e roccioso. I residenti di Raštević facevano le comparse. C’è chi versa i fagioli, chi beve al banco, chi zoppica in lontananza. Oggi non c’è traccia di niente di tutto questo, né di imperi né di set cinematografici, e nemmeno dell’ex Jugoslavia. Ora dopo l’innominabile ultima guerra, nelle case disabitate dei serbi, ormai residenti australiani, ci sono pecore. In altre, come la nostra, c’è chi è voluto tornare. L’estate è la mancanza di ricordi storici visivi.
Non esistono piccoli altari lungo la strada ad indicare religioni o miti, come non esistono reliquie o monumenti. Vecchie poste, cattedrali, poster, incisioni, placche. Niente. Uno strano oblio, almeno visivo. Solo pietre, vigneti, sedie di plastica davanti a cancelli geometricamente decorati, gruppi di galli, galline e tacchini che passeggiano insieme spesso in compagnia di gatti, cemento gettato a casaccio dove serve, materiale da costruzione edilizia che riacquista nuova identità con ogni nuova esigenza.
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