Abbiamo già dimenticato le donne dell’Iran? La mostra a Bologna

di - 6 Giugno 2023

Da poco più di un anno, lo studio the rooom ospita nelle sue stanze in pieno centro storico a Bologna, mostre e appuntamenti culturali collegati alla sua mission legata alla comunicazione della sostenibilità. In sintonia con la sua attività ha scelto di esistere come società benefit impegnandosi a promuovere la cultura del rispetto per l’ecosistema e per l’etica sociale. Nel rispetto di questa cornice, la curatrice Eleonora Frattarolo ha proposto alcune mostre, tra cui l’ultima, la collettiva Le energie della Persia. Puntare lo sguardo su un paese che è salito alla ribalta per dei fatti sanguinosi e vergognosi solo qualche tempo fa, è doveroso e lo è soprattutto perché ora tutti paiono essersi già dimenticati della grave situazione di perdita della libertà, di sopruso e di condizionamento culturale, di cui soffrono soprattutto le donne iraniane. Riferirsi poi al paese mediorientale con il suo antico nome, la Persia, evoca una cultura plurimillenaria e contribuisce a dotare di un sostrato storico e di un intero immaginario artistico, letterario e poetico una mostra, che non vuole schiacciarsi solo sul presente, ma crede opportuno creare ponti e relazioni che illuminino la presentazione delle opere scelte.

Courtesy the rooom. Foto di Ash Gray – Film Production

La mostra si apre con lo scenografo e artista Amir Sharifpour, che ricostruisce edifici mitici, complessi, piccole scenografie che rimandano a narrazioni passate e non del tutto dimenticate. L’idea di viaggio, di spostamento in quanto esilio ed espropriazione, invece, scaturisce dalla barca di legno depositata nel cortile, come se fosse arenata. Specchi spezzati che riflettono la luce e la emanano, riempiono la barca fino a trasbordare e costruire un alone di luce attorno a questo oggetto simbolico, foriero di speranze, fughe, illusioni e nostalgia. La stanza centrale della mostra è dedicata ai sapidi, irrequieti e provocatori disegni dell’illustratore e graphic designer Majid Bita (1985). Le 20 tavole disegnate con inchiostro di china e penna a sfera sono presentate accanto alla graphic novel Nato in Iran appena uscita per le edizioni Canicola.

Il racconto si svolge tra le vie di Teheran e racconta speranze, illusioni, resistenza e resilienza che anima la quotidianità dei giovani iraniani. Le fotografie in severo bianco e nero del videoartista e fotografo basato a New York Tooraj Khamenehzadeh raccontano di un personaggio spaesato, fragile e bisognoso di aiuto. Descrivono la condizione di isolamento e resistenza silenziosa cui sono costrette le popolazioni del grande paese, impossibilitate persino a respirare liberamente a causa dei miasmi di un potere che le riduce all’impotenza. Alle fotografie di Tooraj, fa da contrappunto il video Strappa di Sepideh Salehi e Kamran Taherimoghaddam, basato sull’alternanza fortemente ritmica e incalzante di due scene: i tamburi suonati da musicisti uomini e i veli neri strappati da un gruppo di donne vestite di nero, ma altere, sicure di sé nella consapevolezza di un gesto che rompe con le regole, i soprusi, la sottomissione. Infine, nelle segrete del sotterraneo, l’artista Sima Shafti inanella sete, specchi, polveri sgargianti per comporre una sorta di tappeto, che nell’antica Persia era metafora del famoso e meraviglioso giardino orientale. La minuta e decorata installazione a terra, viene completata dal gesto performativo dell’artista, che si taglia la lunga treccia e la getta al centro, quale gesto di rifiuto di un sistema millenario basato sul patriarcato e l’aristocrazia religiosa del potere.

Tutti gli artisti iraniani coinvolti sono caratterizzati da un forte afflato attivistico, che modella la loro opera su discorsività di rifiuto, resistenza, resilienza, ribellione, che contribuisce a tenere alta l’attenzione su politiche di repressione, da cui tutti gli artisti coinvolti hanno scelto di fuggire, pur ricordandosi costantemente della propria provenienza dalla terra dell’esilio.

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