Giorgio Andreotta Calò, Torino-Guarene, azione cammino di 58km da Torino a Guarene, 2008
Lasciare il segno del proprio passaggio, seguire una traccia, osservare ciò che cambia e ciò che è simile. Il viaggio di Giorgio Andreotta Calò è iniziato il 24 agosto, a Venezia e, proseguendo a piedi e in solitaria, arriverà ad Amatrice. Ma Senza Titolo (Gloria), progetto presentato da Fondazione Nomas e curato da Raffaella Frascarelli, vincitore del Bando Regione Lazio Arte Sui Cammini, racchiude una radice di trasformazione e, oltre all’atto dell’attraversamento, si declinerà in una forma tangibile, lasciata a Leonessa, sul tradizionale Cammino di San Benedetto, e infine in un libro d’artista.
Il percorso seguirà idealmente la Faglia Gloria, che unisce a livello geologico la zolla europea e quella africana, delineando quindi un confine diverso rispetto a quello geografico, come appare in superficie e corrispondente al bacino del Mediterraneo. Questa frattura è lunga circa 400 chilometri, si estende dalle Azzorre, supera Gibilterra e prosegue verso la Sicilia, risalendo intorno alla Calabria e fino alle Alpi, seguendo la catena degli Appennini. Dall’Italia, poi, la Faglia scende di nuovo, segue le coste croate, albanesi e greche, attraversa Cipro e arriva in Turchia, dove prende il nome di Faglia Est Anatolica. In questo viaggio sinuoso, la placca smuove energie primordiali e profondissime, responsabili non solo degli eventi tellurici che spesso colpiscono la Penisola ma anche di una peculiare conformazione antropologica e culturale dei popoli che vi vivono in corrispondenza.
«In ogni epoca, le rotte segnalano la necessità di trovare spazi di libertà: attraverso questi itinerari, nei secoli, i popoli hanno definito e condiviso aspetti culturali relativi al sacro, alle tradizioni, all’episteme, alla memoria, hanno esplorato e si sono confrontati con la storia, il tempo e l’ignoto. Nella Francigena Meridionale del Lazio, l’unione tra Roma e Gerusalemme, ma anche la costruzione di una cultura mediterranea condivisa che ha prima incluso il continente africano e quello asiatico e poi per via marittima le Americhe», spiega Frascarelli.
Il cammino di Giorgio Andreotta Calò ripercorre al contrario la direttrice di trasmissione delle onde sismiche, per dare vita a un’azione rituale e apotropaica, personale e collettiva, che rifletta sullo stato di crisi generato dal terremoto. Partendo da Venezia, città natale dell’artista, luogo indagato anche in altri momenti della sua ricerca e dove, peraltro, ha avvertito il sisma del 24 agosto 2016, Andreotta Calò, che abbiamo recentemente visto in una bella personale all’Hangar Bicocca di Milano, si dirige verso il suo epicentro, trasformando l’evento luttuoso del terrae motus in un motus di scoperta, conoscenza e scambio, con il paesaggio e con le altre persone che lo attraversano.
«Il 24 agosto 2016 mi trovavo a Venezia (lì stavo lavorando alla realizzazione del padiglione italiano). Con lo studio avevamo progettato di spostarci all’Aquila – lì avremmo studiato le architetture emergenziali, fatte di puntelli e strutture di sostegno. Ma quel 24 Agosto in studio, nella notte, sentii una scossa che proveniva da qualche luogo imprecisato e lontano. Poche ore dopo già si sapeva che quella scossa giungeva da Amatrice», spiega Andreotta Calò.
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