Anish Kapoor e Giulio Paolini, 2023. Installation view. Galleria Massim Minini, Brescia
Il pieno e il vuoto, il buio, la luce, l’essere nel tempo per Anish Kapoor. L’assoluto e la bellezza. L’atto della visione. Per Giulio Paolini. Parole e concetti che risuonano alla Galleria Massimo Minini a Brescia. Alcune “indagini” su questi temi svolte da due artisti chiave dell’arte contemporanea sono in mostra fino al 3 maggio, Anish Kapoor/Giulio Paolini. Insomma, c’è da sbizzarrirsi nel cercare di capire le poetiche che stanno dietro i due artisti, che scopriamo avere in comune il gioco della sottrazione fino all’essenza e l’elegante invito all’introspezione.
«Questa esposizione prende corpo da un apparente contrasto. Come le opere di uno sono bianche, non invasive, mentali, quelle dell’altro sono rigorosamente nere, forti, occupano il nostro campo visivo con decisione, esigono la nostra attenzione, e la ottengono. Così in questo apparente contrasto, che in realtà è una somma di visioni, si ricompone questa metafora che alla fine chiamiamo arte», spiega Massimo Minini, in uno dei suoi leggendari comunicati stampa.
Opposti, ma in dialogo quindi. Pare da sempre, seppur a distanza. «Non ci conoscevamo di persona», racconta Giulio Paolini, che non è solito abbandonarsi alle parole. «Ma ci stimiamo da anni. Pur essendo diversi nel modo di lavorare, abbiamo l’attitudine di non occuparci direttamente delle cose del mondo. Siamo quasi nascosti nelle pieghe della nostra immaginazione. Per restare in ascolto della materia stessa dell’arte e della sua storia». E aggiunge: «È come se fosse stato stabilito dal destino che avremmo fatto qualcosa insieme», continua a raccontare Giulio Paolini. Ed è arrivato l’apprendista stregone e ci siete riusciti (Massimo Minini). «Sì proprio così. Non è una collettiva, ma un incontro: io sono stato felice di accogliere ed esporre le mie opere con quelle di Anish». Un altro miracolo compiuto dal gallerista bresciano che ha deciso di festeggiare così il compleanno della sua galleria – 50 anni tondi e portati benissimo – con due artisti che hanno accompagnato la storia della galleria.
Anche per lo scultore anglo indiano Anish Kapoor, è come se lui e Paolini fossero da sempre in contatto: «Giulio guarda dietro le cose. Io mi occupo di oggetti, che stanno fuori nello spazio. I miei sono non oggetti. Sono come i temi della psicoanalisi, cose che accadono ma non le conosciamo. Soprattutto non le vediamo. Adesso le spiego meglio. Sa quali sono state le due scoperte più importanti nel Rinascimento? Una la prospettiva, lo sappiamo. La seconda sono le pieghe degli abiti. Il motivo della piega nella pittura rinascimentale era un segno dell’essere, ma se c’è una piega in un tessuto nero, non la distingui. Attraverso la cancellazione del contorno e del bordo ci viene offerta la possibilità di superarlo. Beyond being, oltre l’essere».
Nella galleria di via Apollonio, questo è evidente: si è accolti da uno dei suoi cerchi neri alla parete realizzati con il black material (il nero, Vantablack S-VIS che intrappola il 99,96% della luce che lo colpisce. Come il Descent into Limbo del 1992). «Questo nero prende un oggetto e lo fa scomparire. L’oggetto non è più un oggetto, non c’è più. È l’opposto della pittura: se la pittura fa apparire gli oggetti, il black material li fa scomparire», aggiunge Kapoor. Nelle altre sale ci sono alcune opere nere, alcune incastonate nel muro della galleria, che esplorano l’oscurità come realtà fisica e psichica, in cui si generano il pensiero, le sensazioni. Per Giulio Paolini, invece, è tutto bianco con qualche sottile linea di colore e con un matita con cui è disegnata la sua la sua sagoma che osserva l’opera come sempre «perché l’opera d’arte preesiste».
Tutta la galleria è diventata un’opera d’arte e l’intero ambiente espositivo diventa una versione tridimensionale, amplificata e percorribile della stessa opera e delle infinite possibilità.
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