Focus curatori in 22 domande: intervista a Marta Cereda

di - 26 Agosto 2025

Prosegue il nostro FOCUS curatori, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. La nuova puntata della nostra rubrica ha per protagonista Marta Cereda.

Marta Cereda, photo credit Emanuele Zamponi

Come ti definiresti?

«I am the curator of my own misery, citando Douglas Gordon e un suo lavoro del 2010».

Dove sei nata e dove vivi?

«Sono nata in provincia; vivo in città. Anzi. Sono nata in provincia; vivo in città, vivo in provincia, vivo al mare, vivo in campagna, vivo in montagna. Al lago, su un pedalò. Oggi vivo in una casa a picco sul mare che profuma di ginepro. Non è mia».

Dove vorresti essere nata e dove vorresti vivere?

«Vorrei essere nata in provincia; vorrei vivere in provincia, non necessariamente la stessa. Oppure, a Parigi».

Quando hai capito che ti interessava l’arte?

«Quando, alla scuola elementare, la maestra Patrizia ha consigliato ai miei genitori di portarmi a ripetizioni di disegno. Ricordo pomeriggi a cercare di disegnare un albero, come se lo aspettavano. In quel momento, mi sono resa conto che mi interessava guardare gli alberi e guardare disegnare gli alberi, non disegnarli io stessa. E che mi sarebbero interessati, soprattutto, se fossero stati proprio come nessuno se li sarebbe aspettati».

Quando hai deciso che avresti fatto la curatrice?

«Non ho deciso».

“Tungsteno”, veduta della mostra presso Careof, Milano, 2023, photo credit Diego Mayon

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatrice?

«Tutti quelli che ho letto, per la maggior parte romanzi, qualche racconto. Pochi saggi. I saggi sono sempre doveri, per me. Quando li finisco, quando concludo il progetto per cui li ho studiati, li dimentico».

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-arti visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«I romanzi che leggo, i film e gli spettacoli che guardo, le persone con cui chiacchiero. Le storie che mi raccontano in treno o quelle che ascolto al ristorante. Mentre scrivo, in questo momento, sta suonando La petit fille de la mer di Vangelis e, poco fa, stavo leggendo Tentazione di János Székely. Alle mie spalle, alcune persone si stanno confrontando sul metodo migliore per pulire il pavimento. Si sa che il mocio non funziona. Spazzolone e straccio, ecco la scelta ideale. Oppure ginocchia a terra. Olio di gomito, ci vuole. Dicono».

Qual è la mostra che ti ha segnato e perché?

«Villa Panza, a Varese, che non è una mostra, ma è anche una mostra. Con i suoi divani di velluto rosso vermiglio. Permanente e temporanea al tempo stesso. Una casa, un museo in cui lo sguardo ogni volta si risveglia, trova energia, trova conforto».

“Mirrorball”, veduta della mostra presso Careof, Milano, 2025, photo credit Diego Mayon

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Una tavola dello Pseudo Pier Francesco Fiorentino. L’impero delle luci di Rene Magritte. Le installazioni di Zone Artistiche Temporanee del MA*GA di Gallarate. The Visitors di Ragnar Kjartansson. Long Goodbye di David Claerbout. Un pomeriggio a Venezia, fuori dai giardini della Biennale. Sono ripetitiva: Villa Panza».

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Ho un elenco molto lungo e i soli nomi non sarebbero sufficienti a indicare il loro ruolo nella mia vita. Per tutti provo gratitudine».

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«Diretti: i miei genitori, i miei amici. Perché mi hanno insegnato la curiosità, hanno allenato il mio sguardo e le mie capacità di ascolto e osservazione, mi hanno legittimato nelle richieste, nelle domande, nell’esercizio di uno spirito critico non alle cose dell’arte, alle cose del mondo.

Indiretti, nomi notissimi: Massimiliano Gioni; Hans-Ulrich Obrist; Harald Szeemann; Jan Hoet per Chambres d’Amis».

“La prima volta”, Casa Testori, Milano, 2024, graphic design Alessio D’Ellena / Superness, photo credit Diego Mayon

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatrice?

«Arianna Beretta è stata la prima a definirmi così, con alcune mostre a Circoloquadro, uno spazio indipendente che allora aveva sede nel ventre della Fonderia Napoleonica Eugenia, a Milano».

Qual è la tua definizione di curatore?

«Chi sta accanto. Poco tempo fa, notando che non avevo sottolineato la mia curatela in un testo, una collega e amica mi ha fatto notare come affermare la mia presenza fosse un atto necessario di responsabilità e rispetto nei confronti del lavoro degli artisti. Allora, forse: chi sta accanto, con responsabilità, attenzione e rispetto. Non solo all’artista, ma anche al contesto, al pubblico, alla complessità del tempo in cui vive».

Qual è la tua giornata tipo?

«Mi sveglio presto, vado a dormire presto. Nel mentre, vado in bicicletta, leggo, scrivo, bevo tazze di tè fumante, con qualunque temperatura».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«No, sono incostante».

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«Il mio lavoro è l’imprevisto».

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«Talpe. Well Said, Old Mole, co-curata con Laura Lamonea al Liceo Umberto I di Palermo, come evento collaterale di Manifesta 12. Perché era una collettiva, perché era uno spazio non convenzionale, perché la mostra apriva la sera, al mattino c’erano gli esami di maturità. Purtroppo non abbiamo prodotto un catalogo che possa raccontarla».

“Talpe. Well Said, Old Mole”, veduta dell’installazione di Rachele Maistrello, Liceo Classico Umberto I, Video Sound Art Festival / Manifesta 12 Palermo, photo credit Francesco Bellina

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«Economie scarse determinano servilismo e nepotismo, creando un sistema clientelare in cui lo spirito critico si piega al potere».

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«Giorgio Vasari. Per il resto, come detto, la mia memoria per la saggistica è breve e le mie bibliografie poco accademiche».

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«Avrei voluto affiancare Massimiliano Gioni in tutti i progetti di Fondazione Trussardi a Milano e ne Il Palazzo Enciclopedico per la Biennale Arte 2013, a Venezia».

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«La riservatezza».

Progetti in corso e prossimi?

«Nel mese di ottobre inaugurerà Wounded Words Wounding Words alla Capitolare di Verona, come mostra collaterale di ArtVerona. Sto seguendo alcune produzioni per Careof, in particolare il lavoro di Daniele Costa, che sarà presentato al PAC in novembre, e un nuovo progetto filmico di Gaia De Megni. Sono stata incaricata della curatela di Casasanvito, residenza d’artista nelle Marche: un progetto a lungo termine, nato dalla passione e dall’entusiasmo di tre amici, che sono felice di poter supportare con il mio lavoro».

Casasanvito, Monte San Vito (AN), photo credit Andrea Dal Martello

Chi è Marta Cereda

Marta Cereda (Busto Arsizio, 1986) è curatrice indipendente e direttrice artistica di Careof, organizzazione no profit per l’arte contemporanea fondata nel 1987 e attiva a Milano. Cura Casasanvito, residenza per artisti nelle Marche. Scrive per Il Giornale dell’Arte.

Tra i progetti recenti: nel 2025 Mirrorball, una mostra collettiva ideata in occasione di Milano Art Week 2025; nel 2024 A Place to Stay di Cecilia Mentasti, una produzione di Video Sound Art presentata da Careof, con catalogo pubblicato da Corraini Edizioni, co-curata con Laura Lamonea; La prima volta, una mostra realizzata a Casa Testori, a Novate Milanese, accompagnata da un libro; Comete. Avanguardie di un altro sistema solare, una serie di proiezioni e incontri presso Anteo Palazzo del Cinema a Milano, co-curata con Marta Bianchi; nel 2023 Tungsteno. Memorie e falsi ricordi, una rassegna di video dagli anni Settanta a oggi sul tema della criptomnesia, presentata da Careof.

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