Gioberto Noro, Sulla fotografia (analogie e figure del dissimile) - 2021 - particolare della mostra - courtesy dell'artista e della Galleria Peola Simondi
La mostra del duo Gioberto Noro da Peola Simondi, presenta una serie di lavori fotografici ispirati al Beato Angelico, in particolare all’Annunciazione nella versione che si trova nel corridoio del Convento di San Marco a Firenze. Ma sarebbe più esatto dire che le opere si ispirano a Georges Didi Huberman, il cui famosissimo testo su quell’opera dell’Angelico, è appunto chiamato in causa nel titolo della mostra, che recita: Sulla fotografia (analogie e figure del dissimile).
Ricordiamo che il filosofo e storico dell’arte francese rinveniva, nel marmo dipinto sotto la scena principale dell’opera in questione, l’anacronistico incrociarsi di un espressionismo astratto di là da venire con l’allusione mistica alla passione di Cristo (un evento, quindi, che si trova, occhio, nel futuro rispetto alla scena narrata dal dipinto, ma nel passato rispetto a chi guarda…. Insomma, Walter Benjamin avrebbe stappato una bottiglia di spumante!)
Quasi a voler dar seguito al discorso, Marilena Noro e Sergio Gioberto fissano, allora, l’obiettivo della macchina fotografica su un angolo bianco, dove il colore solcato di crepe assume le sembianze di un’opera contemporanea (un cretto di Burri?), fatta di una luce piena, che misticamente penetra le fenditure della materia.
Come a dire che, a guardarla da vicino, nessuna opera d’arte è mai veramente derubricabile come mero “passato”, bensì è sempre foriera di una insopprimibile e ricchissima ulteriorità. Il titolo dell’opera, dal tono vagamente spinoziano, suona: Luogo geometrico dell’Essere (omaggio a Beato Angelico).
La mostra prosegue poi, da qui, in un alternarsi di immagini di luci e di spazi. Alcuni di questi sono spazi generati naturalmente dallo spontaneo vorticarsi delle conchiglie, qui riprodotte al negativo, ad esaltarne stranianti effetti di luce. Altri spazi sono invece ricreati in studio ricorrendo a modellini, che ingannano i sensi ed evocano celle di monasteri dalle atmosfere metafisiche. Qui il ritmo di luci ed ombre, porte e finestre, disegna luoghi prima di tutto mentali. Si noti che tutto è accuratissima fotografia, anche dove, a un primo sguardo, quasi sembra pittura.
C’è poi una specie di pivot nel percorso espositivo: un’opera che esce dagli schemi, perché non ispirata all’Angelico, né al tema dello spazio.
Si tratta di una fotografia di dimensioni più ridotte, creata da un gioco di luci blu (le altre che appaiono blu, nelle opere in mostra, sono in realtà negativi di immagini digitali). Vi si vedono due mani, in una posa che evoca esplicitamente quelle misteriose dei personaggi di alcune opere di Malevič degli anni trenta. Riconosciamo qui, così, un’altra figura del dissimile. Una piccola nota interessante, a completare il tutto: il testo della mostra è firmato da Gregorio Botta, artista a sua volta.
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