Giulio Marchetti, "Pulp Virus", 2021, lavoro ispirato all'opera di Banksy "Pulp Fiction"
Giulio Marchetti (1982, Roma) ha realizzato due lavori ispirati ad altrettanti lavori di Banksy, ce ne parla in questa intervista.
Una sua serie di opere è ispirata a Banksy. Quali aspetti del lavoro dello street artist anonimo lei ammira in modo particolare e a quali caratteristiche si ispira? Come si inserisce nella sua ricerca più generale?
«Banksy possiede certamente un’attitudine rarissima ad indagare e condensare macro fenomeni come la guerra, la violenza, la discriminazione razziale o di genere, le tematiche relative all’infanzia, al mondo femminile, a quello animale, all’ecologia. La sua tipica efficacia comunicativa risiede nel trattare i suddetti argomenti con una sottile ironia, rendendoli più fruibili, più snelliti nei codici, ma al contempo vibranti, quasi catartici.
I detrattori potranno scambiare la sua capacità di sintesi per tendenza didascalica, ma personalmente ho sempre ammirato quest’abilità di evidenziare con tono irriverente le contraddizioni del nostro tempo, anzi ho provato io stesso, con le mie opere, a svolgere, seppur modestamente, la funzione di “specchio della società”.
Prevalentemente, tuttavia, nel mirino di Banksy c’è sempre stato il potere costituito o comunque obiettivi (deviazioni sociali e politiche) più agevolmente condivisibili da una certa massa critica che rappresenta già una base organica di consensi per l’artista.§
Le mie opere invece sono trasversalmente acide e puntano spesso il dito contro quella società, quella fetta di pubblico, che dovrebbe poi fatalmente apprezzare le stesse opere».
Quale è il suo approccio al lavoro di Banksy? Come avviene il passaggio dall’opera dell’artista britannico alla sua, sia a livello tematico che tecnico?
«Non sono il Banksy italiano. Questo è chiaro, bisogna stabilire le giuste proporzioni. Le mie opere ispirate al suo lavoro si possono definire “citazioni”. L’artista britannico utilizza spesso le immagini spostandole su un piano altro. Penso ad esempio a Pulp Fiction (2004), in cui le pistole diventano banane, creando un cortocircuito funzionale, tramite l’accostamento di elementi dissonanti.
Ebbene, con la mia rilettura dell’opera, ribattezzata per l’occasione Pulp Virus, le pistole si trasformano in termoscanner, di fatto richiamando sia la forma delle pistole sia la funzione intesa come “autorità” che, stante la pandemia, legittima o meno l’ingresso delle persone negli spazi pubblici e negli esercizi commerciali. Tecnicamente, invece, si tratta di un approccio stencil».
Quali progetti ha per il futuro? Dove potremo vedere i suoi lavori?
«Compatibilmente con l’emergenza sanitaria, preparo un’ambiziosa mostra personale. Intanto mi dedico con profitto alla digital art e mi avvicino sensibilmente alla crypto art. Ad ogni modo, le mie opere sono attualmente visibili sul mio sito e sul mio canale Instagram».
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