Un progetto espositivo eterogeno ma unitario, che mette in relazione poetiche diverse e geografie distanti – Stati Uniti, Brasile, Kenya, India – per interrogare le forme del racconto visivo contemporaneo. Nel corso del 2026, per la prima volta, le due sedi della Pinault Collection a Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, saranno dedicate a quattro artisti contemporanei, in percorso di mostre ad ampio raggio di media e di temi, dalla camminata performativa di Paulo Nazareth alle pitture enigmatiche di Lorna Simpson, dalle tele monumentali di Michael Armitage alle installazioni filmiche di Amar Kanwar.
La mostra dedicata a Lorna Simpson (29 marzo – 22 novembre 2026) è curata da Emma Lavigne in collaborazione con il Metropolitan Museum of Art di New York, che aveva già presentato una prima versione dell’esposizione – Source Notes – nella primavera 2025. A Venezia, la retrospettiva si amplia con circa 50 opere, dalle tele ai collage, dai video alle installazioni, provenienti da collezioni private, istituzioni internazionali e dall’archivio personale dell’artista.
Attiva dagli anni ’80, Simpson ha esordito con la fotografia concettuale, indagando i meccanismi attraverso cui le immagini costruiscono rappresentazioni di genere e di razza nella società americana. Negli ultimi dieci anni la sua ricerca pittorica si è intensificata, sviluppando un linguaggio denso di figure enigmatiche, rimandi storici e tensioni politiche. In mostra compaiono anche le tele realizzate per la Biennale di Venezia del 2015, accanto a nuove opere concepite per la Punta della Dogana: panorami artici dai toni blu e grigi, figure femminili sospese tra sogno e storia, visioni che destabilizzano la percezione e rendono visibile l’instabilità della memoria e delle narrazioni.
Al piano superiore, la personale di Paulo Nazareth (29 marzo – 22 novembre 2026), a cura di Fernanda Brenner, ripercorre oltre 15 anni di viaggi che hanno portato l’artista brasiliano ad attraversare le Americhe e l’Africa, quasi sempre a piedi e scalzo. Questo gesto performativo ed esperienziale diventa atto di resistenza narrativa: calpestare la stessa terra dei suoi antenati schiavizzati privati delle scarpe come simbolo di sottomissione. Archivi visivi, le sue opere raccontano il corpo come memoria vivente e il viaggio come dispositivo di scrittura critica dei paesaggi contemporanei.
Con la lentezza dei suoi cammini, Nazareth contrappone all’urgenza della modernità una temporalità altra, capace di far emergere la stratificazione di colonialismo, razzismo sistemico e migrazioni nelle mappe geopolitiche odierne.
Le sale monumentali di Palazzo Grassi ospiteranno dal 29 marzo 2026 al 10 gennaio 2027 la più grande retrospettiva europea di Michael Armitage. Curata da Jean-Marie Gallais, con il contributo di Hans-Ulrich Obrist per il catalogo e di Caroline Bourgeois e Michelle Mlati come consulenti, la mostra riunisce un corpus di opere degli ultimi dieci anni, tra dipinti monumentali e disegni su bark cloth, tessuto tradizionale dell’Africa orientale.
Nato in Kenya nel 1984, Armitage fonde mitologia e storia dell’arte occidentale con riferimenti alla vita sociale e politica del Kenya. Le sue tele, dai colori intensi e dalle composizioni affollate, affrontano temi come la violenza politica, la sessualità e le migrazioni. In ogni quadro si intrecciano visioni personali e immaginazione collettiva, il fantastico si mescola al reale e i simboli ancestrali incontrano citazioni da Goya, Gauguin o Manet.
Nelle stesse date, sempre a Palazzo Grassi, Amar Kanwar presenta The Peacock’s Graveyard (2023), una delle sue più recenti installazioni filmiche, già parte della Pinault Collection. Curata da Jean-Marie Gallais, la mostra propone una meditazione sulla ciclicità della vita, sull’impermanenza e sulla possibilità di nuove forme di resistenza e riconciliazione.
Kanwar, nato in India nel 1964, è da sempre impegnato a esplorare i rapporti tra storia, violenza e narrazione, intreccia immagini, suoni e parole in dispositivi che trasformano la visione cinematografica in esperienza installativa. Oltre a The Peacock’s Graveyard, saranno esposti altri lavori che affrontano il rapporto tra verità storiche contraddittorie, costruendo spazi di riflessione poetica e politica.
In parallelo, la Bourse de Commerce a Parigi ha aperto da pochi giorni una mostra dedicata all’artista brasiliana Lygia Pape, mentre dal 19 settembre sarà visitabile Minimal, un allestimento di opere della collezione Pinault, di autori che hanno fatto la storia del Minimalismo, come Dan Flavin, Robert Ryman, On Kawara, Agnès Martin, François Morellet. In praprazione per la primavera 2026, Clair-obscur, un itinerario tra moderni e contemporanei sul lascito del chiaroscuro. Infine, il programma di residenza a Lens accoglierà, da ottobre 2025, l’artista saudita Anhar Salem, classe 1993, a conferma del sostegno alla ricerca emergente e dei rapporti di diplomazia culturale con lo Stato arabo.
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