In un’opera di Margherita Morgantin sventola una kefiah palestinese

di - 17 Luglio 2025

Oggi parliamo di COSINUS (Venti cosmici), opera di Margherita Morgantin prodotta da Xing e installata presso gli Orti Boschetto Riva del Reno, a Bologna, nel maggio 2021, in occasione di Live Arts Week, composta da un palo zincato con issate a spirale cinque maniche a vento ed entrata a far parte della collezione permanente del Museo MAMbo. La sua particolarità è che i materiali sono soggetti a un ricambio periodico e la seconda iterazione presenta una specificità strettamente conessa all’attualità e che ha rappresentato l’occasione di questo incontro.

Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – Ricambio stagionale 18.06.2025 – Orti Boschetto Bologna – ph. Luca Ghedini, courtesy the artist, Xing, MAMbo

Su un confine difficilmente definibile

Cosa comporta per te l’installazione di un’opera così mutevole e quale motivo ti ha spinta, secondo, diciamo così, la tua esigenza ad ancorarsi al dato scientifico e tecnico, a scegliere proprio la manica a vento?

«Dunque, il confine della lingua scientifica e della misurazione è da sempre una questione aperta nel mio lavoro. Da un lato è un confine estetico nel guardare i modi, i numeri e i dati della scienza come qualcosa che contiene una specie di residuo, di deposito in qualche modo sentimentale. Anche le formule della matematica, le liste dei numeri, sono per me una sorta di dato poetico della lingua scientifica. E quindi questo misurare visivo del vento che è uno strumento letterale di misurazione, visto che a seconda delle bande, se vengono rispettate le misure dei diametri, si dà una lettura precisa dei nodi di vento, dall’altro lato è anche una traduzione visiva di codici cromatici, fatti di vestiti, stoffe e tessuti, che assumono un altro significato. Quindi le due cose si mescolano su di un confine che non sempre è ben definibile».

Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – Ricambio stagionale 18.06.2025 – Orti Boschetto Bologna – courtesy the artist, Xing, MAMbo

Facendo riferimento a una delle tue prime opere video, Mari da calmi a leggermente mossi del 2003, ritorna l’utilizzo di un tessuto, in quel caso un abito, una coperta colorata, come elemento minimo di domesticità, una sorta di protezione che rimanda a un tempo fermo, potremmo dire centrato, quasi pacificato, dove si dipanano i rumori assordanti di una contemporaneità che a volte ci inquadra solo in prospettive di pericolo. È un po’ lo stesso per il motivo della kefiah che hai scelto di inserire in questo ultimo ricambio di COSINUS?

«Mari da calmi a leggermente mossi è una lunga passeggiata sul molo, verso un orizzonte che corrisponde al calo della luce naturale. In queste immagini fotografiche in sequenza, successivamente montate in dissolvenza, l’ultimo punto di visione corrisponde alla fine al buio. È una misurazione di luce, sguardo, visibilità, e dei rapporti interni alla visione. La coperta che ho sulle spalle è di quelle tipicamente fatte all’uncinetto da persone anziane, segno del passaggio di un “femminile” tra le generazioni, un dato comune che potrebbe appunto tenere insieme le due opere».

In relazione al contesto mi sembra emerga forte il motivo dell’ancoraggio, dove al posto di sensazioni di confusione, ansia o panico, come possono essere quelle di un profugo, prevale la messa a fuoco, il riappropriarsi e il sentirsi parte del circondario. Credi che, come in parte nei tuoi video, il suono del vento, in fondo sempre presente anche se lo riconosciamo solo in un secondo momento, sia di ulteriore adito a una conclusiva centratura del Sé?

«Il vento apre a molti sensi, muove odori, foglie, forme visive, tocca la pelle, è invisibile ma allo stesso tempo riporta anche al corpo. Ed è attraverso il corpo che si recupera il Sé, per poi riuscire a scioglierlo in una prospettiva allargata, fino a sentirsi parte di un tutto, avere coscienza del proprio essere al mondo».

Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – Ricambio stagionale 18.06.2025 – Orti Boschetto Bologna – ph. Luca Ghedini, courtesy the artist, Xing, MAMbo

Da queste tue parole mi viene in mente il testo Come pensano le foreste di Eduardo Kohn, lo conosci per caso?

«Certo, ho lavorato con Kohn e disegnato la copertina per la prima edizione italiana del libro (E. Kohn, Come pensano le foreste. Per un’antropologia oltre l’umano, Nottetempo, Milano, 2021) dove si parla proprio delle connessioni e delle relazioni che implica un campo semiotico allargato».

La kefiah fa parte del nostro immaginario da molto tempo, pensiamo ai film su Lawrence d’Arabia o a quelli con protagonista Rodolfo Valentino, fino al suo essere indossata da papa Benedetto XVI nel corso di alcune celebrazioni del 2009. Nonostante in qualche modo per noi sia sempre stata presente, credi che ci accorgiamo troppo tardi della cosiddetta questione palestinese? Perché come sostiene Anna Foa «Capire non basta, certo, ma senza comprensione non esistono possibilità».

«Rispetto alla fase di crisi estrema che stiamo vivendo, ho sofferto il bisogno di esprimermi e parlare dell’argomento. Nel 2011 è stata esposta una mia opera presso l’Hangar Bicocca, in occasione della mostra Terre vulnerabili, curata da Chiara Bertola e Andrea Lissoni. In quel caso avevo ridisegnato su di un enorme cartone la terribile immagine tratta dalla copertina del quotidiano Il Manifesto, sulla strage di capodanno a Gaza del 2008. E mi sembrava una cosa enorme, nonostante in me incidessero anche altre forme traumatiche nel guardare questi corpi, corpi che continuiamo a dimenticare e che formano un parallelo con il grande silenzio che ha riguardato in generale la storia del confine orientale.

La mia coscienza politica inizia, germogliando da adolescente, per certi versi in modo superficiale, ma aveva quella passionalità che poi non si ritrova più con quella forza, e con quel tratto cromatico così tipico di quando si è più giovani. Questo bianco e nero, o bianco e rosso, è anche quello della kefiah delle manifestazioni degli anni Ottanta, che io ricordo. Una parte di storia che in fondo ci ha sempre accompagnato».

Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – Ricambio stagionale 18.06.2025 – Orti Boschetto Bologna – courtesy the artist, Xing, MAMbo

Al seguito di un tuo viaggio in Turchia riporti che «C’è un saluto in arabo che significa non ho serpenti nelle mani». Sembra che i profughi palestinesi invece facciano ad amici e parenti che hanno appena attraversato una frontiera, la semplice domanda: «Ti hanno dato molto fastidio?». Credi così che sia importante, in un periodo storico come il nostro, cercare rifugio nella domesticità dei simboli, come delle parole, per non rischiare di perdere le coordinate e rimanere più prossimi al presente?

«Quando la terra è così insanguinata e ferita dalla guerra, l’altro modo del sentirsi parte è la lingua. La lingua è l’altro supporto nel quale si avverte un senso di appartenenza. Le forme poi del tessuto, e del tessuto come testo, sono la continuità del linguaggio nel linguaggio visivo, su cui fondo i miei interventi. Certamente il tessuto è una forma di linguaggio che rimanda al domestico, un domestico infine ricostruibile, se non nella casa, in base al contesto attuale, almeno nella lingua, e nella lingua visiva in particolare».

Margherita Morgantin – COSINUS (Venti Cosmici) – Ricambio stagionale 18.06.2025 – Orti Boschetto Bologna – courtesy the artist, Xing, MAMbo

Margherita Morgantin, la biografia

Nata a Venezia nel 1971, Margherita Morgantin è un’artista visiva e performer, la cui pratica fortemente transdisciplinare si muove tra disegno, scrittura, installazione e performance. Laureata in Architettura presso lo IUAV di Venezia, si è specializzata in Fisica Tecnica, approfondendo in particolare i metodi di previsione della luce naturale. La sua ricerca attraversa l’intersezione tra linguaggi scientifici e immaginazione poetica, con un’attenzione costante al corpo, al tempo e alla soglia tra visibile e invisibile.

Nel corso degli anni ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, in istituzioni come il PAC di Milano, il MAN di Nuoro, il Mambo di Bologna, la Galleria Continua di San Gimignano, Albumarte a Roma, il Museion di Bolzano, il Museo di Villa Croce a Genova, il Centquatre di Parigi e il MOCA di Shanghai. Tra le sue personali, si ricordano Wo(o)lf a L’Aquila (2019), Embracing the moment a Venezia (2018), Dove sei a Firenze (2017) e 190cm alla Biennale Danza di Venezia (2014).

Ha pubblicato diversi progetti editoriali, tra cui Titolo variabile (Quodlibet, 2009), Agenti autonomi e sistemi multiagente (Quodlibet, 2012), Wittgenstein: Disegni sulla certezza (Nottetempo, 2016) e Lo spazio dentro (Semi/Nottetempo, 2020).

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