L’Arsenale di Amalfi riapre con la danza macabra di William Kentridge

di - 7 Agosto 2020

Un luogo che ha rappresentato uno snodo fondamentale per la storia dell’arte italiana e non solo, riannoda i fili con il suo passato mitico e guarda a un futuro di nuove possibilità. Così l’Arsenale di Amalfi, cornice dell’atto fondativo dell’Arte Povera negli anni ’60, annuncia la sua riapertura e ci dà appuntamento al 2 settembre, per la presentazione di More Sweetly Play the Dance, iconica proiezione video di William Kentridge, uno degli artisti di punta della galleria di Lia Rumma, proseguendo idealmente le tre rassegne che qui Marcello Rumma organizzò, tra il 1966 e il 1968.

La storia dell’arte contemporanea passa per l’Arsenale

Perché se la storia è fatta soprattutto dalle donne e dagli uomini ma anche dagli spazi e dai luoghi che hanno attraversato, in questo caso è indissolubile il legame che unisce l’Arsenale alla vicenda fulminante di Marcello Rumma. «Pionieristico imprenditore culturale, editore e mecenate, ma soprattutto cittadino dell’arte», come lo ricordava Andrea Viliani in occasione della presentazione dell’Archivio Rumma, figura centrale nel dibattito culturale italiano e internazionale tra gli anni Sessanta e Settanta, Marcello Rumma fu promotore, insieme alla moglie Lia e al Centro Studi Colautti di Salerno, tra i vari progetti e mostre, di “Arte povera più azioni povere”, terzo appuntamento della Rassegna Internazionale di Pittura di Amalfi.

Erano i primi giorni dell’ottobre 1968 e negli Antichi Arsenali della Repubblica di Amalfi si vide in opera ciò che Germano Celant aveva teorizzato in un articolo dal piglio militante: Arte povera. Appunti per una guerriglia. “Arte povera più azioni povere”, ovvero l’invito a sconfinare, entrare nel reale, usarne gli strumenti del pensiero e i materiali. Oltre alle opere esposte negli spazi dell’Arsenale, realizzate, tra gli altri, da Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, anche una serie di interventi diffusi per Amalfi, di artisti come Richard Long, Ger Van Elk, Jean Dibbets e Paolo Icaro.

E infine un’assemblea – momento non meno importante rispetto alla mostra, sul cui valore fondativo sarebbe necessario soffermarsi – ancora nell’Arsenale, per approfondire gli argomenti della nascente Arte Povera, la sua nuova componente rappresentativa e i suoi rapporti con la politica e lo spazio sociale, con interventi di alcuni tra i critici più influenti di quella e delle generazioni che sarebbero venute: Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles (piuttosto scettico nei confronti dell’operazione ma acutamente disponibile al dialogo), Filiberto Menna e Angelo Trimarco, tra i vari.

Spunti, idee, riflessioni e ragionamenti furono poi riuniti in un catalogo, pubblicato l’anno successivo per la neonata Rumma Edizioni, casa editrice che doveva agire come «braccio culturale dell’attività artistica», con formati non convenzionali e vesti grafiche sperimentali.

La danse macabre di William Kentridge fa tappa all’Arsenale di Amalfi

Ed è ancora facendo riferimento alla figura di Marcello Rumma, che prosegue il progetto Amalfi e Oltre, voluto dalla Regione Campania e attuato da Scabec. Così, dopo il convegno Progettare la Memoria, in collaborazione con l’Università di Salerno, e la mostra “I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970”, inaugurata nel 2019 al Museo Madre di Napoli, a cura di Gabriele Guercio e Andrea Viliani, ecco il terzo tassello, con la mostra di William Kentridge che riconsegna l’Arsenale di Amalfi all’arte contemporanea, collegandosi idealmente, appunto, alle tre edizioni della Rassegna Internazionale di Pittura di Amalfi che qui Marcello Rumma promosse e organizzò, fra il 1966 e il 1968.

Presentata per la prima volta nel 2015 e presentata in musei e istituzioni culturali in tutto il mondo, More Sweetly Play the Dance è una danza macabra su otto grandi schermi e per decine di metri di proiezione, un rituale beneaugurante e coinvolgente scandito dai disegni da Kentridge. Una carovana che scorre su uno sfondo di volti abbozzati e sagome di scheletri, guidata da una banda di ottoni e composta da una lunga sequenza di degenti zoppicanti e appoggiati a flebo, sacerdoti ornati con fiori funebri, colonne di individui che trascinano sacchi, oggetti e cadaveri. Apocalittico e grottesco ma anche ironico e profondamente riferito alla possibilità di rinascita, in un ciclo di morte e vita che magari non si può comprendere ma che, in ogni caso, non si può interrompere.

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