Jim Dine, Napoli, 2025 In posa vicino ad una delle sculture in gesso della serie Elysian Fields (2022-2025, dimensioni variabili) nella Cappella Palatina di Castel Nuovo Foto: Antonio Massa
«Arte contemporanea? La mia? Sono un uomo d’altri tempi. In realtà il tempo non esiste nell’arte. O, almeno, io non ne faccio parte». Una cosa è certa: a Jim Dine le classificazione sono sempre andate strette. Lo ha ribadito in occasione della presentazione della sua ultima personale ospitata al Maschio Angioino di Napoli con il titolo di Elysian Fields, a cura di Vincenzo Trione, visitabile fino al 10 febbraio 2026.
Con i suoi 90 anni appena compiuti, l’eclettico artista di Cincinnati è sempre passato da una forma di espressione all’altra senza mai aver bisogno di definizioni: dalla scultura alla pittura, dall’incisione alla poesia. Il suo lavoro è sempre sfuggito ad ogni sorta di classificazione rigida, sebbene sia stato spesso associato al movimento della Pop Art per il suo interesse alla cultura di massa, a cui ha sempre unito l’analisi introspettiva e note biografiche. Gli oggetti comuni si vestono di eccezionalità grazie al carico di esperienze e di emozioni che ognuno di noi mette in quell’oggetto.
Elysian Fields è un proseguimento naturale e, in certi versi, un’estensione del suo modo di guardare al mondo e a se stesso in quanto artista. In mostra 29 opere dislocate negli spazi della Cappella Palatina, dell’Armeria, delle sale archeologiche e nella Cappella delle Anime del Purgatorio. Un percorso che incomincia con l’imponente istallazione della Cappella Palatina: le 23 grandi teste in gesso di ispirazione classica che occupano la navata entrano in voluto contrasto con l’opera inedita The Gate where Venus sleeps, una grande porta in bronzo e acciaio. La riflessione sulla riproducibilità – ancora attualissima – è qui ancora lampante, ma seconodo un’accezione assolutamente di rottura rispetto al movimento della Pop Art. Jim Dine fa una dichiarazione evidente: l’arte può essere riproducibile ma non impersonale.
Ciò che rende l’opera unica è il carico emotivo ed esperienziale a essa legato, ossia la memoria. Nell’Armeria, due profili monolitici si stagliano fra luce e ombra: sono le recenti opere bronzee Venus and Neptune e Big Lady on Beaver’s Stump. Come riemerse dalle profondità marine o dalla notte dei tempi, le sculture rievocano la statuaria ellenica deturpata dal passare degli anni ma anche entità ancestrali, incubi di bambini, la forma fisica dell’inquietudine verso un domani incerto.
Nell’opera di Dine c’è una voluta ambiguità fra mondo classico, mitologia e Pop art. Quanto è reale la volontà di superare il mero richiamo estetico e la retorica classica per addentrarsi nel tortuoso sentiero di una reale riflessione contemplativa del passato? A tale domanda non vi è, come spesso accade nell’arte, una risposta giusta o sbagliata.
Ci sono solo diverse chiavi di lettura poste l’una sull’altra, in quella stratificazione di cui certamente Napoli, con la sua storia, sa qualcosa.
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