Nous Irons à Paris: Poesia Visuale e Neoavanguardie tra Napoli e Parigi

di - 31 Ottobre 2023

Da tempo immemore la poesia è considerata la meno praticata, meno vissuta, meno discussa delle sette arti. Forse perché, banalmente, è quella che richiede maggiore cultura, sforzo, impegno. La più difficile da fruire, da comprendere, da praticare. Ma le cose non stanno proprio così? In fondo, a ben pensarci, la poesia è l’arte più fluida, sfuggente, umana. Quella legata alla sua proprietà prima, il linguaggio, la parola. Per questo è universale e universalizzante. Potremmo finanche considerarla un settimo senso, una lente estetica, un diaframma che si attiva o si disattiva a seconda dei momenti e delle necessità. Guardiamo, tocchiamo, ascoltiamo poeticamente.

È quello che in fondo ci racconta il volume Nous Irons à Paris. Poesia visuale e sperimentale, arte comportamentale e ambientale, 1971-2021. Naples-Paris, titolo curato dall’artista, performer, archivista e saggista Domenico Mennillo, insieme a Jean-François Bory, Gigliola Fazzini ed edito da Terre Blu. Qualcosa che è nato sull’onda di un lavoro spezzato, un flusso interrotto per la perdita di Stelio Maria Martini, poeta e critico letterario tra gli ideatori, venuto a mancare all’alba di questo progetto transmediale, transtemporale e transmateriale. E poi ripartito con nuovi capitoli, nuove idee, come avviene sempre in letteratura, in poesia. Punto e a capo. Punto e nuovo capitolo.

Domenico Mennillo, photo by Salvatore Pastore

È il frutto, per partenogenesi, di una serie di collage quali De Amiticitia versi scritture poemi-collage (del 2017, con scritti dello stesso Martini), Ogni volta che e altri cinque piccoli racconti di Bory e infine Personne pour racconteur l’Histoire (2019) da cui poi è sfociata l’idea di un’interazione organica, fisica, cartacea, tra i mondi delle avanguardie e neoavanguardie di Napoli e Parigi di questo volume.

Nous irons à Paris, uscito in primis sulla rivista internazionale “591”, tenta di annullare non solo una distanza fisica tra queste due città, luoghi da sempre ad altissimo coefficiente spirituale, poetico e artistico, ma anche quei 50 anni che intercorrono tra le prime e le ultime produzioni. Anni di pratiche, concetti, sperimentazioni. L’idea di fondo per Mennillo è quella di «Immettere visioni inedite, utili ad un ripensamento e ad un rimescolamento di convinzioni critiche ormai lontane dalle esigenze e dalle prassi estetiche a noi contemporanee».

Ma la singolarità di questa pubblicazione è data dalla texture organica, compatta della narrazione. Non è un caso che il titolo, Nous Irons à Paris, riprenda quello di un film degli anni ‘50 di Jean Boyer, che raccontava la storia di Radio X, una stazione indipendente che univa giovani talenti della musica nella disastrata Francia del Dopoguerra. Mennillo appare infatti in una delle foto del capitolo Frammenti di un discorso gigantesco, in una posa hitchcockiana, enigmatica, di colui che ha volutamente sceneggiato la trama di un film, di un giallo, con segni, tracce, apparentemente senza senso e scopo.

Pagina autografa di Guido Biasi per Mario Persico

L’antefatto del gruppo continuum, dell’artista filosofo Luciano Caruso e di Stelio Martini, resisi protagonisti, nella Napoli di fine anni ’60, di numerose incursioni estetiche, performative e di una scrittura, un testo, una grafia «Che vengono costantemente tirati in ballo nelle loro innumerevoli combinazioni s-ragionevoli, metapoetiche e metasintattiche». E dove le “imboscate”, operative o letterarie (Operazione Vesuvio e La disoccupazione mentale/il fuori – 1972) spingevano ardentemente in direzione di quel “fuori strada”, di quell’exodus di senso e di forme che ogni avanguardia cerca, lontano da sentieri già battuti o da riscontri immediati. O le fibrillazioni socio-politiche e antropologiche su cui si staglia la parabola artistica di Luca (Luigi Castellano), in perenne sincope tra le eccedenze radicali, le distruzioni, le agitazioni, i dibattiti e i comizi del Gruppo P.66 e un “comunismo artistico” senza artisti del Manifesto contro gli artisti (1971), in aperta antitesi con le idee di élite intellettuale molto comuni in quell’epoca.

Oppure passando da un capitolo intitolato Impegno e decentramento. Collettivi artistici in Terra di Lavoro di Luca Palermo, alla volta della riscoperta di un’arte popolare, di partecipazione creativa e di trasformazione ambientale nella Campania degli anni ‘60-‘80 (Proposta 66 Terra di Lavoro, Comune 2, Junk Culture, Lineacontinua etc), in aperta opposizione al degrado, ai disastri ecologici, alla speculazione fondiaria come «All’esteticità mercantile» di una «Alta Cultura istituzionalizzata, paternalisticamente orientativo-educativa». Fino a giungere al plot twist della Galleria Inesistente e della parabola di Vincent D’Arista raccontata da Luciana Berti, impegnati nella continua rinominazione e manipolazione degli oggetti come dei simbolismi quotidiani (Risveglio del Vesuvio – 1969), di smaterializzazione dei processi creativi (Cercasi filosofo verace – 1969) e di estemporanea rottura dei codici linguistici, sociali come istituzionale (La Mostra inesistente – 1972).

Un testo-script insomma, ricolmo di indizi, una storia da avvolgere e riavvolgere, che viaggia sotto i nostri occhi, dotata di ramificazioni e sfumature spesso poco individuabili, per niente individuali e che racconta storie sfuggite all’oblio, da restaurare negli specchi delle nostre memorie e percezioni.

Un documentario letterale, scritturale, in cui il nastro si dipana lentamente, inframezzato dal monologo Magnificenza del Terrore. Omaggio scenico ad Antonin Artaud di Enzo Moscato, dai Amis_testi lineari e verbovisuali italiani di Jean-Francois Bory e dalla prosa poetica bilingue dello scrittore Tommaso Ottonieri.

Immancabile, come in ogni produzione che si rispetti, uno score di spessore, un originalissimo soundtrack, composto dalla poesia sonora della collana discografica, Radio Taxi. Vibrazioni del Sonoro con (Giuseppe Morra, Sarenco e le Edizioni Lotta Poetica) e quella “macchinica”, dei “collage concreti” e magnetici, dei nastri analogici che scorrono e ricorrono del sound artist SEC_, in dialogo con le digital machines attraverso il linguaggio universale del sonoro. Nous irons à Paris è insomma il diaframma di una creatività universale, assoluta e primigenia. Scatulun’ ricolmi di parole, immagini, di idee, di ipotesi. Il testo come materia, come pittura, colore, sostanza inchiostrata. Qualcosa che oggi è pigramente relegata in uno spazio sinaptico e neuronale, imprigionato nella distanza tra touch, screen e i nostri occhi che hanno smesso di toccare e i nostri polpastrelli di plasmare. Una creatività tutta da (ri)scoprire che, se allora trasbordava nelle strade, sui corpi, sulla materia, grazie al suo potenziale infinito, materico e onirico, chiede oggi di tornare, di rifarsi, nelle nostre menti come nelle nostre vite.

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