Igor Santos
All’American Academy di Roma si è svolta giovedì 9 giugno la consueta apertura degli studi d’artista, Open Studios, in edizione estiva. Si tratta di un’occasione imperdibile per conoscere dal vivo e nella sua dimensione progettuale il lavoro dei borsisti dell’AAR e dei vincitori del Rome Prize 2021-2022.
La linea di ricerca di questi artisti, generalmente, è all’insegna dell’incontro e della combinazione culturale, che porta spesso a risultati di grande interesse. Innanzitutto è l’immersione nella realtà romana e italiana a innescare negli artisti spunti di riflessione inediti nella propria ricerca. È il caso della designer Jennifer Pastore che, partendo dall’esplorazione di come nelle famiglie italiane nasca e si tramandi la narrazione attraverso fotografie e testimonianze orali, si è imbattuta nella cultura materiale dei corredi da sposa ricamati, lasciandosene coinvolgere emotivamente; oppure si pensi alla coppia di architetti Mirelle Roddier e Keith Mitnick e alla loro destrutturazione e reinvenzione, o reimmaginazione, a tratti giocosa e fumettistica, dell’immaginario architettonico romano.
Sicuramente uno dei lavori più emblematici dell’attuale politica culturale dell’AAR è la collaborazione tra il compositore Igor Santos e l’artista William Villalongo. Entrambi partiti da una riflessione sull’acqua, le loro ricerche si sono naturalmente incontrate dando origine a una installazione performance complessa e dai molti livelli di lettura. Se da un lato Santos porta con sé la coscienza di una dicotomia tra le proprie radici nippo-brasiliane e la formazione culturale musicale classica, inevitabilmente bianco-centrica, dall’altro Villalongo, a contatto con la cultura e la storia italiana, costruisce un discorso di ribaltamento della prospettiva, e della narrazione, in chiave blackness, utilizzando opere d’arte e oggetti italiani – come la Fontana del Moro di Bernini e le tradizionali testine di moro in ceramica – insieme a manufatti inerenti la storia dello schiavismo, come le borracce ricavate dalle zucche che gli schiavi afro-americani portavano con sé, diventati simboli identitari. In più, anche per l’approccio, più emozionale e irrazionale l’uno, e più riflessivo e analitico l’altro, i due artisti generano una sinergia dagli esiti inaspettatamente poliedrici e affascinanti.
Una menzione merita, tra gli italiani, il pittore Manuele Cerutti il quale, all’interno di una sua linea di ricerca incentrata sul concetto di alterità, sta sviluppando un interessante studio sul doppio fisico, traendo ispirazione da quei casi clinici neurologici – testimoniati fin dalla letteratura antica – in cui sembra che uno dei piedi sia estraneo al soggetto e non risponda alla sua volontà.
Pur non potendo dilungarci su ognuno per ovvi motivi di spazio, altrettanta attenzione meritano gli altri borsisti Las Nietas de Nonó e Autumn Knight per le arti visive, Germane Barnes per l’architettura, Michael Lee, Phoebe Lickwar e Valerio Morabito per l’architettura del paesaggio, e Mary Ellen Carroll per il design.
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