Riders on the Storm è un’installazione site specific di g.olmo stuppia nella corte di Palazzo Riso, nel contesto di Post Apocalyptic Renaissance, il progetto curatoriale di Maria Abramenko per Palermo Art Weekend (tenutosi dal 1 al 3 ottobre); l’opera con tutta la mostra rimarranno visitabili, gratuitamente, fino a giovedì 21 ottobre 2021. L’artista mi mostra il suo lavoro la sera prima dell’avvio di PAW, sta ancora rifinendo gli ultimi dettagli; un po’ mi racconta, molto mi lascia immaginare.
g.olmo stuppia (tutto minuscolo, in omaggio al pensiero debole) è nato nel 1991 a Milano con sangue siciliano: si muove di continuo, Milano, Palermo, Berlino, Venezia, Parigi – dove l’artista acquista da un clochard la sua tenda, che a Palermo diventa il guscio di Riders on the Storm; questo guscio viene riempito e saldato con oggetti trascinati lì, simboli condivisi e simboli personali: un libro aperto sulla mappa delle principali feste religiose in Sicilia e una stampa delle rotte militari sopra l’isola sono forse gli elementi più immediatamente leggibili, e richiamano l’ampio progetto Cassata Drone, che l’artista ha avviato nel 2017, riflessione critica su stratificazione culturale e presenza militare; ancora, la sagoma di un drone (la stessa dell’installazione permanente realizzata in Piazza Borsa) si poggia sopra le immagini della Sicilia: carte da gioco popolari, fotografie dei siti archeologici – mete dei pellegrinaggi turistici –, documenti di famiglia; tutto è sovrastato dalla prepotenza militare. Mentre i droni si librano nel cielo ferito, la tenda di g.olmo stuppia è ben ancorata a terra; il drone vola solo e remoto, la tenda invece vuole al suo interno l’uomo e lo invita a entrare – o lo attira con l’inganno, con l’esca di un carillon da principessa e caramelle alla fragola, posti all’ingresso.
Fuori la tenda, un bacile di pietra che pare un’acquasantiera diviene il piattello per l’elemosina, mischiando sacralità e sopravvivenza; contiene pochi spiccioli di rame e le pacchiane chiavi d’oro di un alloggio del passato, elemosina all’artista – dal passante, dal collezionista. Il cuore luminoso del rifugio è un blocco trasparente al centro del quale una luce viola mette in evidenza le impronte digitali di chi ha visitato lo studio palermitano di g.olmo stuppia: l’artista provoca il suo ospite – che, forse inconsapevole, di giorno in giorno ingrassa i big data e da qualche mese è associato a un QRcode – pretendendo di registrarne le informazioni.
Nel contesto post apocalittico dettato dal progetto curatoriale, vedo la tenda come il rifugio del sopravvissuto: spazzolino da denti e pistola, distrattamente lasciati a terra uno accanto all’altra, suggeriscono un sopravvissuto nella cui quotidianità si trova la violenza (subita, minacciata, usata a difesa di sé?) al pari dell’igiene orale. Tra essi, una Madonna di acqua benedetta, forse l’uomo post-apocalittico ne ha fatto la sua borraccia.
Del nastro adesivo avvolge la cupola di nylon, eloquentemente esso recita: «FRAGILE».
Riders on the Storm non è solamente un lavoro dal forte impatto visivo ed emotivo, superata l’iniziale suggestione mi trascina letteralmente dentro di sé, con l’impellente esigenza di comprendere quanto abbia da dire – sicuramente molto; l’opera porta avanti un discorso diverso attraverso ciascuno degli oggetti che la compone (militarità, violenza, resistenza, dati sensibili, religiosità), e più l’osservatore si sofferma, più essa parlerà, o spingerà a parlare lo spettatore stesso, alla ricerca del legame reciproco tra gli elementi non esplicati.
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