Rohini Devasher, One Hundred Thousand Suns (still da video), 2023 Video installazione a quattro canali, 25'17'' Courtesy l’artista e Gallery Wendi Norris, San Francisco
Borrowed light, luce in prestito. È con i suoi cieli, studi e osservazioni sul campo che Rohini Devasher, astronoma amatoriale e artista, insignita del premio “Artist of the Year” nel 2024 della Deutsche Bank, inaugura la mostra Borrowed Light presso il MUDEC a Milano, visitabile dal 19 settembre al 2 novembre.
Le sue ricerche “spaziano” intorno alle osservazioni di cielo e cosmo, come traccia di un tempo invisibile, un gesto antico e ancestrale per la tradizione indiana, che Devasher indaga sia dal punto di vista scientifico, con dati e strumenti ottici o di misurazione, in collaborazione astronomi, fisici e osservatori internazionali, sia come esperienza sensoriale e sinestetica. La mostra, prima personale dell’artista in Italia, è a cura di Britta Färber e Global Head of Art & Culture di Deutsche Bank, ed è accompagnata da un ricco palinsesto culturale.
Nata nel 1978 a Nuova Delhi, Rohini Devasher mappa le complessità dell’ecologia, della cosmologia e della tecnologia lavorando con video, pittura, incisioni, disegni, installazioni e altri media. Le basi teoriche del suo lavoro attingono a storia, scienza, filosofia, dalla narrativa speculativa (in particolare Philip K. Dick e Ursula K. Le Guin) e dall’eco-horror. Da dove nasce la sua passione per le stelle? «Entrata in college, cercavo un club fan di sci-fi…e ho trovato un gruppo di astronomi amatoriali. È stato un hobby per molto tempo, poi con l’eclisse solare del 2010, tra le più lunghe del secolo con i suoi 4 minuti totali, ho capito che era la mia strada, anche in linguaggio artistico». Nel 2023 ha vinto una doppia residenza al CERN di Ginevra e all’International Centre for Theoretical Sciences di Bengaluru, India. I suoi lavori sono stati recentemente esposti al Dr. Bhau Daji Lad Mumbai City Museum nel 2024 e al PalaisPopulaire di Berlino quest’anno.
Il titolo della mostra, Borrowed Light, è un termine architettonico usato per la luce riflessa, o luce “presa in prestito” da uno spazio adiacente per illuminare una stanza o un passaggio altrimenti buio. Per Devasher, Borrowed Light è una meditazione sull’impermanenza, sulla luce e sul tempo, un promemoria che la nostra connessione con i cieli e ciò che si trova oltre dimostra che è possibile immaginare un futuro di vita planetaria basato sulla solidarietà e sull’empatia.
Le opere di Devasher affrontano in particolare il fenomeno dei cieli non deturpati dall’inquinamento luminoso: nell’estate del 2017, l’artista ha trascorso 26 giorni a bordo della petroliera High Trust, nell’ambito di un programma di residenza per artisti chiamato The Owner’s Cabin. Il viaggio, che l’ha condotta dalle Fiji a Singapore, passando per Samoa, ha portato in primo piano un tema su cui l’artista riflette da tempo: il ruolo dell’osservazione e dell’osservatore e il concetto di “campo” o “luogo” fisico o immateriale. Il suo lavoro offre spunti sulla crisi climatica, la colonizzazione di altri pianeti e l’immortalità virtuale, e riflette intorno a scenari distopici di estinzione dell’umanità, l’uso dell’AI e l’accelerazione del riscaldamento globale, le minacce alle istituzioni democratiche, fornendo materia prima per narrazioni future che cultura, arte, letteratura e filosofia possono solo parzialmente illuminare.
L’artista indaga il modo in cui le persone registrano osservazioni e dati, esaminando i media e i sistemi organizzativi che hanno utilizzato dagli albori dell’umanità fino all’attuale era digitale: mappe alternative del cielo, estrapolazioni di un modello, filtrato dagli occhi di chi lo studia. Questa fragilità della conservazione dei dati e la bellezza dei processi di osservazione collettiva sono centrali nell’arte di Devasher. Le opere spaziano da mappe visive, lavori con fiamma su rame (che, in quanto metallo, ha origini extraterrestri) che ritraggono eclissi e macchie solari, riprese da foto scattate durate le spedizioni, sequenze di immagini sui i concetti di biosfera e di sistema ecologico autosostenibile, una installazione sonora che racconta l’immagine dell’astronomo come figura solitaria, e restituiscono con delicatezza la poesia e lo straniamento, sempre con la guida dei materiali di archivio, foto e studi di ricerca.
Al centro della mostra One Hundred Thousand Suns, un video 4 canali del 2023 che, come l’artista ci racconta, ha come focus l’osservazione e le registrazioni dell’antico Osservatorio Solare di Kodaikanal, fondato nel 1899, che proseguì le attività dell’Osservatorio di Madras, istituito dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali nel 1786. Ogni giorno dal 1904, condizioni metereologiche permettendo, il personale dell’Osservatorio registra immagini del nostro Sole, oltre 125 anni di consistenti archivi di oltre 100.000 immagini. Si parte dalle prime macchie solari disegnate a mano su dischi di carta, passando per la fotografia astronomica su lastre di vetro e i dataset del Goddard Space Flight Center della NASA, fino ad arrivare agli archivi personali dell’artista.
«Come si prende famigliarità con qualcosa che non si conosce? Lo si disegna, e poi si ripete. Disegnare e ripetere, poi ancora». Devasher ha viaggiato per 26 giorni su una petroliera intorno al Pacifico, a da Fiji a Samoa a Singapore, senza inquinamento luminoso e con l’oscurità completa durante la stagione del Milky Way, in cui ogni notte la via lattea era visibile chiaramente, permettendo all’artista di fotografarla e disegnarla. La serie di cianotipie (carte celesti delle latitudini comprese tra 90 e 0 gradi) esplora il cielo attraverso queste lenti.
Come tracciamo i confini, sempre che esistano? In che modo la nostra storia e la nostra visione del mondo plasmano la nostra interpretazione dei dati e la percezione delle cose?Come la tecnologia filtra le immagini? «Sembra che gli esseri umani tendano a leggere le stelle, proiettando significati su fenomeni astronomici che, di per sé, non danno alcuna indicazione oggettiva di contenere tali significati»: come un’immaginazione visiva guidata, Borrowed Light ci invita a riflettere su come gli astronomi usino gli oggetti visibili per comprendere quelli invisibili o non direttamente rilevabili, come l’energia oscura e la materia oscura, come metafora del nostro ruolo di osservatori terresti, connessi spiritualmente nello stesso campo visivo: non esiste mai un paradigma definitivo, ma una molteplicità di sguardi che coesistono, nel rispetto reciproco. «Quando faccio osservazioni con le persone, si crea un vero senso di connessione con il cielo e la sua perdita. Dovremmo tutti essere profondamente preoccupati per il modo in cui stiamo perdendo il cielo notturno in ogni grande città del mondo».
«L’osservazione non consiste nel guardare con più intensità o con maggiore trasparenza. Né si tratta semplicemente di vedere con gli occhi. È un atto che implica registrare, ordinare, elaborare e preparare. Alcune pratiche di registrazione – come il disegno a mano libera – hanno aiutato gli osservatori a vedere di più, e in modo diverso» Omar W. Nasin, 2013
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