Robin Rode, Promenade 2008. 36 C-prints face-mounted with plexigas on aluminium panels. Foto Mattia Micheli
Aprirà il 25 novembre a Oleggio, in provincia di Novara, SPA Spazio per Arte. Una location dedicata all’arte contemporanea, sita nel prestigioso Palazzo Bellini, di gusto neoclassico, ricco di stucchi, affreschi, bassorilievi e splendidi soffitti in legno, proprio nel centro storico della città piemontese, davanti alla torre campanaria.
È il risultato di un progetto portato avanti dai proprietari Laura Crola e Luigi Giordano i quali, dopo un attento restauro che ha richiesto circa due anni di lavori – svolto sotto la guida dell’architetto Lorenzo Bini – di un’ala del palazzo (un’altra ala è stata acquistata dal Comune), hanno deciso di destinare le sale, disposte su due piani, per 500 metri quadrati in totale, all’esposizione permanente di alcune delle opere d’arte contemporanea acquistate nel corso della loro lunga e appassionata ricerca in giro per il mondo.
Una ricerca, la loro, non motivata da intenti speculativi ma mossa dal desiderio di confrontarsi con i nuovi linguaggi della pittura, della scultura, delle varie forme di installazione, anche le più ardite e innovative. Lo dice bene Luigi Giordano: «L’arte per me è un investimento non in senso economico ma per conoscere meglio se stessi e lo spirito del tempo».
Rischa Paterlini ha curato questa esposizione che va sotto il nome evocativo e onnicomprensivo di Bianco. E il bianco domina. Il bianco richiama il latte e Oleggio è la città del latte, considerata la sua primaria vocazione agricola-zootecnica. Oltretutto, gli stessi coniugi Giordano sono eccellenti imprenditori del settore. Ma il bianco è il colore prevalente di alcune delle opere esposte, oltre a essere il simbolo della vita che nasce e si sviluppa. Bianco è anche il silenzio contrapposto a una certa abitudine del giorno d’oggi a parlare a vuoto, a dare enfasi alla retorica senza senso.
È giusto segnalare che i lavori in esposizione sono tutt’altro che facili da apprezzare per un neofita. Accanto a opere di artisti affermati, ve ne sono diverse di artisti giovani e meno conosciuti. In ogni caso, per coglierne a fondo lo spirito e la portata innovativa, occorre affrontarle con una certa predisposizione d’animo votata alla curiosità, con la mente libera e la capacità di lasciarsi coinvolgere, stimolare e, in qualche caso, addirittura, provocare.
La curatrice Rischa Paterlini ha voluto di proposito ridurre il numero di opere esposte in questa prima mostra: solo 25 rispetto alle 35 previste, proprio per permettere una visione più attenta e favorire anche la necessaria meditazione che ognuna di esse potrebbe richiedere.
La parte “invisibile delle opere d’arte”, di solito vale di più di ciò che si vede al primo sguardo, sostiene Luigi Giordano. A questo proposito è significativa l’opera di Anne Imhof, 068 H, 1st of at least twelve (Der Schwann), una lastra in lacca, alluminio e acciaio di puro colore bianco appena interrotto da alcuni graffi. «Significati, connotazioni, associazioni arrivano dopo l’esperienza fisica iniziale (ciò che si è visto)» e solo dopo vanno ad attivare intelletto e psiche, come motivato anche dalla stessa artista tedesca nel libretto che illustra la mostra.
Era importante, inoltre, che le opere stesse, potessero “dialogare” con l’ambiente in cui venivano esposte (sale, come abbiamo detto, affrescate e risalenti al Sette/Ottocento): esperimento complessivamente riuscito. Le opere di arte contemporanea, d’altra parte, a saperle leggere, portano con sé messaggi universali. Come dice ancora Luigi Giordano: «Ciò che ho imparato stando vicino al contemporaneo è che il grande artista di solito è anche un filosofo e ha sempre sul comodino un libro da leggere di arte e filosofia, perché arte e vita camminano sempre insieme».
Tra le opere presenti segnaliamo quelle che più hanno colpito la fantasia e i sensi dei visitatori. Vi sono, inoltre, installazioni che vanno viste direttamente, considerati gli effetti particolari che producono come illusioni ottiche, tridimensionalità, effetti fosforescenti. Insomma una mostra da vedere di persona. Difficile da raccontare.
David Finn, Masked Figure (1984-5), realizzato con materiali di scarto e cartone dipinto, una specie di mascotte posta all’ingresso dei locali. Il duo danese Elmgreen&Dragset, When a country fears itself (2017), precedente alla loro ricerca sulla “superfluità” dei corpi. L’italiana Benni Bosetto con How many bodies have you carried into your meditation?, un’opera realizzata attraverso il recupero di un oblò di aereo con gesso e grafite su seta al suo interno. Wolfgang Laib, Milkstone, opera per certi aspetti più iconica, realizzata con marmo bianco leggermente convesso che contiene del latte (che va sostituito ogni giorno perché caglia). Giulia Censi, Untitled#3, vasca da bagno che contiene la sagoma sventrata di lupo e che riecheggia in qualche modo il famoso dipinto di Marat Assassinato di Jacques-Louis David. Luigi Giordano. Il collezionista, amante dell’arte, è lui stesso un artista e lo dimostra con le sue scelte libere da condizionamenti di qualsiasi tipo.
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