Utereyes vigila sui diritti delle donne: il progetto di Elena Pizzato Ketra

di - 13 Ottobre 2022

Un work in progress dalle infinite declinazioni e varianti, per seguire da vicino l’evoluzione e gli sviluppi di una lotta che, ancora oggi, è senza quartiere: quella della parità di genere e dei diritti delle donne. Elena Pizzato Ketra ci parla di “Utereyes”, il progetto che exibart presenterà alla 17ma edizione di Art Verona, in apertura dal 14 al 16 ottobre 2022.

Utereyes: intervista a Elena Pizzato Ketra

Il tuo lavoro è stato sempre orientato alla parità di genere e alla difesa dei diritti delle donne. Quanto vale e quanto può valere il peso degli artisti nel sostenere le battaglie sociali?

«Personalmente non riesco a slegare la mia ricerca artistica dal contesto storico-sociale in cui vivo, esso permea la mia vita e anche inconsciamente la influenza. È lo spirito del tempo che respiro e di cui mi nutro, essere artista e donna ha portato la mia ricerca a scoperchiare e accentuare quelle discrepanze di genere che tuttora imperversano nel tessuto sociale contemporaneo. Sostenere le battaglie sociali attraverso l’azione artistica, grazie anche alla molteplicità dei suoi mezzi espressivi, la considero una preziosa opportunità per evolvere. Sradicare gli stereotipi di genere è una di queste opportunità. In generale, non credo in un peso particolare degli artisti in quanto tali. Ogni essere umano ha un suo modo, un suo linguaggio e un ambito di influenza in cui può fare la differenza».

Ci spieghi il progetto?

«Utereyes è l’unione delle parole inglesi Uterus (utero) e Eyes (occhi), è un pattern composto dal disegno di due uteri sintetizzati, dalla riflessione di uno sull’altro si crea un occhio che rappresenta simbolicamente il risveglio, la presa di coscienza. Utereyes rappresenta la libertà di scegliere delle donne, sia del proprio corpo che della propria sessualità. È un utero attivo, consenziente e vigilante, non più passivo che subisce le imposizioni altrui, per dogmi sociali, etici o religiosi che siano. E’ il simbolo della libertà di essere prima di tutto una persona, oltre il genere, e come tale nessuno, nemmeno la legge, deve arrogarsi il diritto di stilare e imporre un libretto d’istruzioni. Nello specifico, come dichiarava un famoso motto durante le manifestazioni femministe negli anni Settanta: “L’utero è mio e me lo gestisco io”».

Quanto quello che sta succedendo negli Stati Uniti sul tema dell’aborto ha influito su questa tua idea?

«Certo che sì, trovo sconvolgente e ancora non riesco a capacitarmi dell’idea che nell’anno 2022 la follia di menti piccole e ignoranti abbia avuto l’ignobile potere di abolire la storica sentenza Roe v. Wade, una legge simbolo dei diritti umani delle donne conquistata col sangue nel 1973.  Pensare che in America, dove troneggia proprio la statua della libertà,  l’aborto non sia più un diritto costituzionale è un ossimoro. Attendiamo la ristampa del Malleus Maleficarum e poi torneremo in piazza a gridare: “Tremate tremate le streghe son tornate”».

Quale sarà lo sviluppo di questo progetto?

«Utereyes è nato come pattern d’artista, proprio perché il pattern è per definizione un’immagine che può essere replicata all’infinito, così come il suo messaggio, ed è questo che mi interessa. L’ho scelto come forma artistica perché capace di adattarsi facilmente ad ogni media e materiale, il continuo ripetersi non fa che potenziare e amplificare il suo messaggio. Lo sviluppo di Utereyes è un continuo work in progress, a seconda del materiale che mi incuriosisce ne declino una sua variante, dalla stampa al cucito, l’ultimo intervento è un’opera textile, ma le sue applicazioni sono infinite. Così come il potere del suo messaggio».

Biografia

Elena Pizzato Ketra nasce a Bassano del Grappa nel 1979. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia con lode, sviluppa la sua ricerca sul corpo e le modificazioni artificiali, sperimentando molteplici materiali e media. Frequenta assiduamente Amsterdam dove, attraverso mostre e residenze, approfondisce i concetti di feticcio ed estetica inorganica ispirandosi al trattato di Mario Perniola “Il Sex appeal dell’inorganico”. Spaziando dall’estroflessione alla scultura fino all’installazione e al video, l’artista scoperchia un sottomondo popolato di bambole spogliate delle loro rassicuranti crinoline e rivestite di latex, specchi che alludono a segreti inconfessabili più che alla matrigna di Biancaneve, tirapugni trasformati in dondoli, corsetti imprigionati in quadri di pvc e borchie, presine all’uncinetto realizzate dalla nonna novantatreenne con scritte trasgressive. Favola nera e realtà contemporanea si intrecciano con ironia, rivelando la sua impronta femminile ed esoterica.

Ha approfondito il fenomeno del feticismo e il potere “magico” del feticcio, di come un semplice oggetto possa avere una tale forza attrattiva su di noi, come se vivesse di vita propria. Una sezione di corpo, un piccolo dettaglio di una “cosa” inanimata, un indumento o un certo materiale o tessuto. Il suo potere seduttivo è magnetico, è dotato di quel sex appeal dell’inorganico che suscita in noi forti sensazioni, e ricordi che toccano l’intimità. Nelle sue opere, dalla gomma, alla pelliccia, alla pelle, l’attenzione è nel materiale e nel suo dialogo con gli altri dettagli della composizione. È una fase fondamentale per poter evocare questo potere seduttivo e a tratti perturbante.

Nel progetto “Serialmirrors” – esposto anche nella nostra exibart digital gallery – è lo specchio il feticcio prescelto, che sia di pelliccia, damascato o borchiato, diviene una sorta di warmhole che ti proietta in vite altre, rubate alle favole e alla realtà. L’artista va alla ricerca di specchi e specchiere antichi, perché già essi stessi rappresentano degli oggetti-feticcio che racchiudono molteplici storie di vita, riflessi di volti e momenti che noi potremo rivivere solo di riflesso. Alle pagine di questi misteriosi “libri” non fa che cucire storie di assassine, racconti familiari, favole nere. Luoghi del pensiero, dove le donne sono sempre protagoniste di loro stesse.

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