Alla periferia della periferia di Torino, nel quartiere dormitorio delle Vallette, fra il carcere e lo stadio, c’è un teatro. Per fortuna. Ma la storia di Caos – Officine per lo Spettacolo e l’Arte Contemporanea più che con la fortuna ha a che fare con l’ostinazione e l’impegno di un gruppo di artisti che, da oltre trent’anni, persegue l’idea di un’arte “transitiva” e “partecipata”. Ma soprattutto emancipata dai pregiudizi che dividono il pubblico in compartimenti stagni, condannando il teatro di ricerca a un’eterna platea di specialisti.
Proprio alle Vallette, negli anni ‘70 (periodo epico dell’animazione teatrale torinese, che iniziava allora ad applicare sul campo, nelle periferie urbane più marginalizzate, le teorizzazioni di Gian Renzo Morteo) il nucleo storico di
Stalker Teatro, sulla spinta di una comune formazione all’Accademia Albertina e di una serie di incontri con grandi maestri europei come
Grotowski ed
Eugenio Barba, cominciò a sperimentare le possibilità comunicative dell’arte contemporanea. “
La sintesi fra i linguaggi dell’avanguardia e il pubblico popolare è stato il grande sogno del Novecento”, spiega il direttore artistico
Gabriele Boccacini. “
Si tende a dare per scontata la distanza di quei linguaggi dalla realtà della gente ‘comune’, quando è vero il contrario: in anni di lavoro, di organizzazione di festival e di laboratori, abbiamo riscontrato come i codici delle avanguardie possano diventare un mezzo accessibile a tutti, un modo per avvicinarsi e appropriarsi delle possibilità espressive dell’arte”.
Tornati nel quartiere grazie alla ristrutturazione, nel 2005, di un’ampia sala polifunzionale, i fondatori di Stalker hanno creato uno spazio unico nel panorama torinese. La stagione di Caos, infatti, è diventata un punto di riferimento per tutti quei gruppi che si muovono al crocevia fra arti visive e ricerca teatrale, in quel territorio di confine che s’identifica con il termine “performance”. E si tratta, appunto, di una stagione: non di un festival o di una rassegna dalla durata limitata e dalla incerta continuità, ma di un luogo che, per tutto l’anno, offre casa a chi -per limitazioni pratiche, steccati culturali o problemi di target- non la trova sui palcoscenici convenzionali né fra le stanze di una galleria d’arte.
Bisogna dunque allontanarsi dal centro di Torino e dai suoi teatri barocchi per vedere all’opera collettivi come
Liberamenteunico della regista-coreografa
Barbara Altissimo, che ha presentato in febbraio
Rosetta Fu, lavoro complesso frutto di una ricerca sul corpo inconsapevole che, attraverso una suggestiva partitura coreografica e una serie di tableaux vivants sinistramente (e ironicamente) deformati dal subconscio, si propone di rappresentare “
la giornata che gli occhi non vedono”.
Senza Confini di Pelle è un’eclettica formazione che spazia dalla pura astrazione a un’irresistibile ironia post-moderna, in scena a marzo con
Sincretico.
Portage r.p., coppia di artisti che lavora sul concetto di “
residuato performativo”, mirando a fissare in “
enti ad alta densità espressiva” il senso e la sopravvivenza della performance, al debutto in aprile con
No spitting. E, ancora, in scena a maggio
Loss – Laboratorio Operativo Sistemi Sensibili con il concerto-performance
Letania per Emilio Villa; il
Barrito degli Angeli con
Atti belli; il gruppo di teatro-danza
Tecnologia Filosofica con
Gymnasium.
Oltre ai torinesi, anche numerose ospitalità, nazionali e internazionali: in apertura di stagione due nomi storici della ricerca teatrale italiana,
Remondi & Caporossi, hanno realizzato a Caos il loro nuovo lavoro, condividendo l’esperienza con giovani attori del posto. E poi
Al Seed, straordinario mimo e performer scozzese, la danzatrice
Gabriella Maiorino, la musica post-industriale di
The Crypt e quella “psico-elettronica” di
Feet of Mud, la danza informale dei francesi
Ex Nihilo Danse, le macchinazioni sceniche su Euripide dei milanesi
Delleali.
Infine, i padroni di casa. Che portano in scena
Jerusalem, ambizioso progetto in cinque quadri sul tema della guerra -dalla percezione quotidiana alle sue rappresentazioni simboliche nel mondo occidentale- che si concluderà la prossima stagione con una trasferta in Palestina.