Categorie: Arti performative

Per Claudia Castellucci, la danza è una forma di conoscenza incarnata

di - 31 Ottobre 2025

L’oscurità della notte faceva risaltare la sagoma slanciata e maestosa dell’ex chiesa di San Barbaziano a Bologna e creava un’atmosfera densa di aspettativa. Era giovedì, 16 ottobre, e mi trovavo nel nuovo “buco” individuato dall’organizzazione bolognese XING, ove inseriva uno dei suoi eventi. È un format individuato da XING da qualche anno per occupare zone dismesse dove le maglie urbanistiche non si chiudono ancora perfettamente per effetto della speculazione edilizia, frutto di una riflessione sulle prospettive post-pandemiche delle live arts: urge attivare luoghi non istituzionali, anche ricavati e poco significativi, come ridefinizione temporanea di uno spazio pubblico. Così, nella chiesa barocca si è svolta la performance Infinito Carnale creata dalla coreografa, drammaturga, didatta Claudia Castellucci, co-fondatrice nel 1981 della compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio, e interpretata dai due danzatori Sissj Bassani e Pier Paolo Zimmermann.

Claudia Castellucci, Compagnia Mòra, L’Infinito Carnale, Xing Hole, ex chiesa San Barbaziano, Bologna, 16.10.2025, ph. Luca Ghedini, courtesy Xing

Si tratta di un dialogo registrato tra due monaci eremiti, maestro e discepolo, Antonio d’Egitto e Ilarione di Gaza (Gaza, a proposito), del III secolo, personaggi di cui rimangono documenti che riportano vicende biografiche e iconografie legate a Sant’Antonio, come Le tentazioni di Sant’Antonio.  Entrambi si allontanano dagli affanni di una società cittadina in crisi e riparano nel deserto, laddove non esistono appigli e distrazioni ma un’orizzontalità che sfuma qualsiasi confine, fatta da infiniti granelli di sabbia.

Claudia Castellucci sottolinea la sensazione di inadeguatezza dello spazio, un tempio sacro in cui si inseriscono le due figure, la verticalità e determinatezza storica dell’ex-chiesa si oppone infatti proprio all’andamento orizzontale delle dune del deserto. Entrambi gli spazi comunque contenitori di memorie. Determinate e storiche quelle della chiesa, geologiche e metafisiche quelle del deserto.

Nel dialogo si parla infatti di spazi della mente, laddove si dispiegano e affastellano le immagini. Gli spettatori fanno da cassa di risonanza e correlativo mentale degli spazi evocati dal dialogo. Il dialogo cresce, con l’allievo che incalza il maestro che sembra divagare, ed è accompagnato da gesti essenziali – o sono piuttosto i gesti ad essere accompagnati dalle parole? -, Claudia Castellucci evoca la pantomima, un repertorio di gesti precisi, nato nell’antichità classica cui corrispondevano dei significati.

Noi abbiamo perso la capacità di decodificare queste movenze ma nella performance si intuisce la corrispondenza tra i gesti dei due danzatori e le parole, in una relazione che però non è né didascalica né data per necessità. Tra i gesti evocati, Castellucci mi precisa che esistono il «Tentare di spiccare un volo dalla rupe e, da umani, fallire», oppure, alla fine, «L’aggressione di un orso, il salvataggio di un neonato e la lotta con il serpente».

Claudia Castellucci, Compagnia Mòra, L’Infinito Carnale, Xing Hole, ex chiesa San Barbaziano, Bologna, 16.10.2025, ph. Luca Ghedini, courtesy Xing

Il suono fascia con andamenti a volte più lenti a volte più stretti i personaggi e le parole. È stato creato dal compositore e musicista Stefano Bartolini con registri che vanno dal rumore d’ambiente appena accennato, che fa da accompagnamento discreto, alla musica che invece invade, potente, lo spazio.

La complessità e perfezione dell’opera sono il risultato di un processo che mescola diversi generi che vanno dal ballo, con attenzione alle tradizioni folcloriche, alla pantomima, alla drammaturgia teatrale, alla musica, alla filosofia, nel loro interagire armonico e studiato. A sua volta, questa mescolanza è il frutto di studio e di ricerca: per Castellucci, la parte della scuola, della “schola” secondo la dizione classica, è alla base di un percorso euristico e conoscitivo che vede l’autrice nella veste di maestra e i danzatori come allievi e co-creatori consapevoli di forme e contenuti.

Al periodo della “schola” segue quello della progettazione della coreografia per uno spettacolo, in questo caso maturato con l’ultima compagnia creata da Castellucci, la Compagnia Mòra, che indica il più breve intervallo di tempo percepibile tra due suoni.

Sulla metrica e il ritmo si basa lo studio della danza di Claudia, sull’essenza di un’arte che si fonda sul tempo, a differenza delle arti visive (si diceva) basate sullo spazio. La dimensione del percorso e dell’attraversamento attraverso movenze di coppia, strisciate di corpi, percorsi acutangoli caratterizzano la performance. L’interazione dei due danzatori che inscenano un agone serrato in una danza che si trasforma in pantomima risucchia lo spettatore in un ritmo coinvolgente e febbrile.

Al centro c’è un Infinito carnale perché, come dice Castellucci, la carne esiste da sempre, in un ciclo continuo di rinascite e morti e di questo parlano i personaggi: Antonio d’Egitto nella corsa finale evoca la “fame”. Cosa c’è di più corporeo, fisico e vivo della fame? Si aggrappa alla carne, lui che aveva rinunciato ai peccati (carnali).

Alla fine i due personaggi scompaiono dietro al gonfiarsi nel “coro” di una tenda bianca. Rimaniamo noi spettatori e le luci intermittenti dei fari delle macchine, che filtrano in quel luogo altro e misterioso per riportarci alla realtà cittadina.

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