Nella tarda serata di ieri, mentre la Global Sumud Flotilla veniva intercettata da navi militari israeliane a meno di 70 miglia da Gaza, centinaia di dipendenti del Ministero della Cultura hanno scelto di prendere posizione pubblicamente. Diffuso inizialmente dal Mann – Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il documento è stato subito raccolto da lavoratori in Istituti, Direzioni e Soprintendenze in tutta Italia, superando le 800 firme in poche ore.
Un atto inedito per gli operatori del settore culturale, che rivendicano il diritto-dovere di non restare in silenzio davanti a un genocidio in corso. «Le lavoratrici e i lavoratori del Ministero della Cultura firmatari di questo documento manifestano la propria ferma condanna rispetto al genocidio messo in atto da Israele a Gaza e in Cisgiordania, ed esprimono piena solidarietà nei confronti della martoriata popolazione palestinese», si legge nel documento. Parole che si inseriscono nel solco delle mobilitazioni seguite allo sciopero generale del 22 settembre scorso, quando piazze gremite in decine di città italiane hanno ribadito il rifiuto della violenza e la richiesta di un cambiamento anche – e soprattutto – politico.
Il documento sottolinea che «Di fronte a questa formidabile mobilitazione dal basso appare sempre più urgente una presa di posizione sui luoghi di lavoro che dia spazio a manifestazioni di dissenso». La riflessione è chiara: se i musei sono luoghi di memoria e di ricerca, non possono essere esclusi dai nodi della contemporaneità. Per questo, oltre alla richiesta di convergenza sindacale, i firmatari esortano Governo e istituzioni locali a superare le «Imbarazzate esortazioni alla pace» per adottare misure concrete di isolamento politico, economico e diplomatico di Israele.
Tra le richieste avanzate figurano il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina, il rispetto delle risoluzioni ONU e delle indicazioni della Corte Penale Internazionale, la sospensione delle forniture di armamenti e l’interruzione degli accordi commerciali con lo Stato ebraico. Particolare rilievo viene dato alla vicenda della Flotilla, intercettata in acque internazionali mentre cercava di aprire un corridoio umanitario. I lavoratori chiedono che il Governo italiano «Si attivi in maniera determinata per garantire la sicurezza dei partecipanti e il rispetto del diritto internazionale e del diritto della navigazione».
Centrale è anche il riferimento al patrimonio culturale e a iniziative che agiscano in tal senso: «Chiediamo infine che venga presa una posizione netta nei confronti della devastazione del patrimonio monumentale e archeologico della Striscia di Gaza», si legge. Qui l’argomentazione si sposta sul terreno della Convenzione dell’Aja del 1954, che tutela i beni culturali in caso di conflitto armato e che Israele stesso ha sottoscritto. La distruzione di siti, musei e monumenti viene denunciata come «Un’ennesima forma di cancellazione dell’identità culturale palestinese». Nel documento si richiede anche «Che siano intensificate e non ostacolate le iniziative volte a garantire vie di uscita da Gaza, al momento limitate a malati gravi e gravissimi, attraverso ogni strumento a carattere culturale, quali il conferimento di borse di studio a studenti universitari gazawi o forme di gemellaggio».
La portata del documento si misura anche nella sua diffusione in tutta Italia: tra gli istituti, oltre al Mann di Napoli, compaiono la Galleria degli Uffizi, la Reggia di Caserta, il Palazzo Reale di Napoli, il Museo Nazionale Romano, il Museo delle Civiltà di Roma, l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, i Musei Archeologici di Venezia e della Laguna, il Parco Archeologico di Pompei, la Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna e il Museo di Luni, oltre a numerose soprintendenze e archivi di Stato.
Un mosaico nazionale che dimostra come, dietro la retorica di chi riduce i dipendenti della cultura a burocrati o custodi di una bellezza astratta, vi siano comunità di lavoro vive, consapevoli e capaci di entrare in contatto. Comunità che oggi rivendicano il diritto di riferire la tutela del patrimonio all’impegno civile e politico, nella convinzione che i musei e i siti archeologici siano anche laboratori critici su ciò che accade nel presente e al di là delle proprie mura, proprio in ragione della loro funzione di luoghi di conservazione della storia.
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