«È successo a me e non deve succedere a te», si legge nel post pubblicato su Facebook, il 19 febbraio, dalla sezione di Napoli di Non Una di Meno, la piattaforma ispirata al movimento argentino Ni una menos e che riunisce diverse realtà del femminismo su tutto il territorio nazionale contro la violenza di genere in ogni sua forma. Perché, secondo la storia ricostruita dal collettivo attraverso varie testimonianze, quello messo in atto dal docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli nei confronti delle studentesse dei sui corsi era un collaudato meccanismo di prevaricazione, perpetrato in anni di soprusi e comportamenti a dir poco ambigui. Ora sul caso sta indagando la Procura di Napoli che, in seguito alla denuncia di violenze sessuali di una studentessa di 20 anni, ha aperto un’inchiesta e ha ricevuto i tabulati telefonici del docente che, martedì, si è dimesso dall’incarico all’Accademia di Belle Arti.
Il caso delle presunte violenze è montato rapidamente dalla scorsa settimana, prima circolando negli ambienti dell’Accademia di Napoli, quindi con un video pubblicato su Youtube domenica, 16 febbraio, in cui oltre ai messaggi di testo scambiati su WhatsApp si sentono anche diverse registrazioni vocali in cui, tra le altre cose, il docente chiede esplicitamente alla studentessa di inviargli sue fotografie. Il video è stato rimosso poche ore dopo la pubblicazione ma sulla delicatissima questione è intervenuta Fanpage, con una controversa intervista alla ragazza che ha contribuito ad alzare il solito polverone mediatico.
Tra interpretazioni scandalistiche e reazioni giustizialiste, a fare chiarezza ci ha provato Non Una Di Meno. «Diversamente da quanto si sta narrando, l’abuso di potere da parte del docente in questione non ha colpito solo una nostra collega, ma negli anni siamo state in tantissime, purtroppo, ad essere state colpite dalla politica di terrore, dalla violenza e dalla possibilità di non sottrarci anche solo a ricevere un complimento non gradito, un messaggio su chat mai richiesto, obbligate a rispondere anche quando non avremmo mai voluto, ci siamo spesso chieste: come si fa a non rispondere anche soltanto con un ciao ad un docente lì dove a legarci è il rapporto di subordinazione che ci fa dubitare che qualsiasi cosa non detta possa ritorcersi contro di noi?», si legge nel post su Facebook.
A prescindere dagli atteggiamenti tossici di certa informazione, le indagini stanno facendo il loro corso. Giovedì, 20 febbraio, la Procura ha ascoltato tre studentesse come persone informate sui fatti. Il giorno successivo, venerdì, 21 febbraio, il sostituto procuratore Cristina Curatoli, in forza alla sezione Fasce Deboli, ha disposto l’individuazione dei dati sensibili – fotografie, video, chat – presenti sul computer del docente che, attraverso i suoi legali, Maurizio Sica e Lucilla Longone, ha consegnato spontaneamente il dispositivo agli inquirenti. Il 5 marzo sarà la volta dei cellulari del professore e della studentessa.
«Già da tempo ho assunto posizioni formali rispetto a tutto questo percorso che non è cominciato quando è emerso il problema», ha spiegato il direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Giuseppe Gaeta. «Lo abbiamo fatto insieme alle organizzazioni di tutela con cui abbiamo firmato protocolli e stiamo avviando uno sportello di ascolto. Urlare non aiuta a far emergere i problemi, va fatto con le organizzazioni che hanno competenza per farlo», ha continuato il direttore che, con la Consulta degli Studenti, ha aperto uno Sportello di Ascolto a disposizione delle ragazze e dei ragazzi.
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