Categorie: AttualitĂ 

Quello che succede nel mondo, nella New York di Mamdani succede prima

di - 7 Novembre 2025

In un vecchio film di John Carpenter, 1997: Escape from New York (1981), un giovane Kurt Russel, nelle vesti di un criminale recidivo, veniva catapultato in una New York post-apocalittica, divenuta una immensa città-prigione. La missione consisteva nel disperato tentativo di salvare il Presidente degli Stati Uniti d’America, caduto con il suo Air Force One proprio nella vecchia metropoli abbandonata al suo destino. Il film colpiva soprattutto perché mostrava la città più potente e determinante della Terra ridotta a un cumulo di macerie. Come un monito, una premonizione. Perché a New York succede tutto prima. Solo che stavolta nella Grande Mela ciò che è successo fa tirare un sospiro di sollievo, anzi di gioia a moltissime persone.

Da qualche giorno, infatti, Zohran Kwame Mamdani, politico democratico di origini indiane-ugandesi, è il nuovo Major di New York, dopo aver battuto di 10 punti il candidato Andrew Cuomo nelle elezioni del 2025. Un risultato storico, insperato anche se non imprevisto, visti i sondaggi ben indirizzati e l’hype di questi mesi attorno a questo ragazzo di 34 anni. Originario dell’Uganda, Mamdani si è trasferito in America all’età di sette anni insieme ai suoi genitori. Famiglia cosmopolita, divisa tra Kampala, Delhi e New York, con il padre, Mahmood Mamdani, accademico e intellettuale ugandese di origine indiana e la madre, Mira Nair, regista indiana di fama internazionale. Studi in Economia, Filosofia, pensiero postcoloniale e attento a temi come la mobilità urbana, i diritti di inquilini e immigrati.

Insomma, una perfetta storia newyorkese. Immigrati ricchi, colti, vita piena di successi e aspirazioni. Non è un self-made man ma non lo era nemmeno Obama e non lo è The Donald. Gente che ha sfruttato al massimo il punto di partenza offerto dalle proprie origini. Ma allora dove sta la grande novità? Innanzitutto il programma.

Socialista ai limiti del bolscevismo: università, trasporti, asili nido, tutto gratis! L’obiettivo al centro della campagna, ovviamente, quella working class medio-bassa lasciata ai margini e in perenne difficoltà, in una città in cui una stanza in un appartamento nel Bronx può arrivare a costare 1200 dollari, dove le high school private costano fino a 6mila dollari all’anno e un asilo nido 2mila dollari al mese.

E come recuperare i soldi? Con il celebre Tax the Rich, Tassa il ricco. Da qui il panico di migliaia di milionari – circa 400mila a New York – che hanno cercato in tutti i modi di fermare la cavalcata trionfale di Mamdani, finanziando l’avversario Cuomo e attaccando a testa bassa il giovane candidato socialista.

“Crazy situation”, “disaster for New York”, “horrible blow”, “scared and depressed”, “very sad night”, sono solo alcune delle espressioni usate dai vari miliardari, come Michael Bloomberg, i magnati della finanza Bill Ackman e William Lauder e Joseph Gebbia di Airbnb. Uscite che hanno reso Mamdani ancora più simpatico a tantissimi elettori.

Poi il messaggio. Potente, moderno, rapido. Video virali, dirette, sketch, quiz per strada, interviste con creators di Instagram e Tik Toker. Il primo gennaio 2025 si lancia vestito nel mare di Coney Island in occasione del Polar Bear Plunge – un tuffo collettivo nelle gelide acque di Brooklyn per salutare il Capodanno – per promuovere la campagna “freeze the rent”, ghiaccia gli affitti altissimi, grande piaga che affligge la città più famosa d’America e del mondo.

Fa campagna insieme a un gattino dentro a una “bodega”, il tipico “negozio sottocasa” newyorkese, con sottotitoli in spagnolo, ma diffonde interventi in hindu-urdu e arabo, lingue che mastica bene, segno di grande attenzione verso le comunità indiane, pakistane e musulmane presenti nella metropoli. Gira le strade in lungo e in largo, intervistando tassisti, lavoratori, commercianti, insomma dialoga con la gente comune. Mostrandosi tale, come loro, senza distanze e mediazioni. E riuscendo a mobilitare migliaia di volontari che hanno battuto la città porta a porta.

Ecco sono come voi. Come la palette di colori usata per la campagna gestita da Rama Duwaji, artista e illustratrice di origine siriana cresciuta nel Queens, eroina della stampa al fianco del marito in questi giorni. Un giallo-taxi su sfondo viola e blu in perfetto ed esotico stile simil-bollywood. Una cittĂ  di immigrati governata da un immigrato: calorosa, local, accogliente. Qualcosa di molto diverso dalle atmosfere ricreate dai tipici colori istituzionali americani e newyorkesi: blu navy e rosso.

Andrew Cuomo (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

Insomma una vittoria schiacciante, su tutti i fronti. O no?

Un po’ fa riflettere quel messaggio di Zohran, a urne chiuse, divenuto virale: «Donald Trump, lo so che mi stai guardando, ho tre parole per te. Alza il volume!». Che suona più o meno come un “Ascoltami, sono qui che ti vedo, ti parlo, questo è anche per te!”.

Ora, la domanda emerge da sola. Perché questo richiamo così plateale, caricato, praticamente un promo da Wrestling, in perfetto stile trumpiano? Una sfida lanciata in tv, proprio come un lottatore sfidante a Wrestlemania che sa che deve sfidare il Campione dei campioni? Ovvero The Donald? O forse un momento di liberazione dopo i mesi passati ad affrontare una durissima campagna denigratoria (non è americano, ha ricevuto fondi illegali dall’estero, è un venditore di fumo, è un antisemita, è un comunista…)?

In fondo, per Mamdani, Donald Trump rappresenta quel mondo criminale, corrotto, da boss, capostipite di quei “bad landlords” responsabili della speculazione sui fitti e sulla pelle della povera gente. Ma è veramente così? Trump è la radice di tutti i mali? Ovviamente no e Mamdani lo sa benissimo. The Donald è l’effetto, non la causa di un sistema politico, istituzionale, soprattutto di comunicazione – dunque, non soltanto americano -, che si sta ormai avvitando. E Mamdani ne è consapevole.

Donald Trump e Hulk Hogan. Ph. Jeffrey Asher/ Getty

Ormai la politica non si gioca più su un livello locale, in questo caso municipale. Anzi non esiste più il locale, in effetti. Ogni avventura politica, ogni sfida, deve inevitabilmente mirare al centro del sistema per poter essere efficace. Deve necessariamente mirare al Boss finale. Perché ormai Trump, con il suo ghigno e il suo ciuffo, la sua cravatta rossa e i suoi vestiti blu di sartoria, sembra pervadere ogni spazio vitale e sociale, non solo di New York e degli USA ma del mondo.

Come amava ricordare Mario Cuomo, vecchio governatore dello stato di New York e padre del candidato Andrew, «In campagna elettorale si fa poesia, ma è la prosa quella che si usa quando si governa». Potrà veramente Mamdani attuare quello che ha promesso? Dare una svolta socialista nella città in cui è nata la finanza globale H24 e i primi grattacieli, dove è nato il concetto stesso di metropoli contemporanea? Sarà durissima.

Powerhouse Art’s Artists Celebration, “Fête of the Fates”, featuring Livia Miller, Chance Lockhart, Holly Greene. Photo courtesy Powerhouse Arts

Ma New York è anche la città dove si sono sviluppati il melting pot, il multiculturalismo, i diritti LGTBQ+ e il femminismo moderno, dove l’arte, la cultura, la società dello spettacolo e la ricchezza si fondono in un tutt’uno. Quindi, la risposta è: forse.

Forse solo a New York potrebbe riuscirci. Forse tutto può veramente partire da qui. Tutto succede prima, a New York.

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