Chiamami col tuo nome, scena dal film
Cos’è una pesca? Questa, ovviamente, non è una domanda alla Munari che con la sua celebre arancia descrive cosa sia il “good design”, questa è una riflessione su come il peloso frutto abbia da giorni riempito le pagine social, sia diventato soggetto centrale in molte opere, oggetto cinematografico, centro di polarizzanti dibattiti e molto altro.
“Emma! Emma! Scusate, avete visto una bambina piccola?” Chiede una mamma preoccupata tra i corridoi del supermercato. Poi, ecco Emma. Nel reparto ortofrutta, davanti ad una pila di pesche, Emma è intenta a prenderne una. Lo spot continua: prendono il frutto, lo mettono sul nastro della cassa, Emma e la mamma tornano a casa e la pesca riappare alla fine della pubblicità. Emma, pensierosa, aspetta che il papà la venga a prendere. Il padre suona il campanello di casa e la aspetta in strada. Emma allora decide di mettere il frutto nello zainetto e quando vede il padre, dentro la macchina, tira fuori la pesca e gliela regala, dicendogli: “Questa te la dà la mamma”. Adesso è chiaro, Emma ha i genitori divorziati e, con quel semplice gesto, vorrebbe favorire un ricongiungimento tra la sua mamma e il suo papà. Lo spot di Esselunga dal titolo “La pesca” diventa virale, si creano meme, si susseguono letture, storie, commenti e tweet. La pesca diventa un oggetto politico. C’è chi vede il breve video come una rottura della stereotipata famiglia “tradizionale”, quella da “Mulino Bianco”. Una lettura progressista, una narrazione che si allontana dagli schemi ripetitivi con cui è raccontata la famiglia. C’è anche chi la critica, sostenendo che è l’ennesimo tentativo per colpevolizzare i genitori separati.
Il breve video pubblicitario, di soli due minuti, diventa polarizzante, politico e divisorio. Mentre c’è chi si chiede se la pesca sia più di destra o più di sinistra, io mi chiedo perché la pesca. Poteva essere qualsiasi cosa, in un supermercato certamente non mancano oggetti e prodotti. Invece il “MacGuffin” della storia era proprio quel frutto così divisorio. Forse è una delle sue caratteristiche a renderla così conflittuale. Non dimentichiamo l’eterno dibattito su quale sia il tè più buono tra limone e pesca. Amicizie rovinate, amori mai sbocciati per una semplice risposta sbagliata. Sarà la forma, sarà il colore, l’odore, l’aspetto, la sua strana peluria, il suo gusto, ma anche la sonorità del suo nome, l’ambiguità celata, la duttilità o persino come riflette la luce a renderla questo frutto così attraente. Nel film di Luca Guadagnino, “Chiamami col tuo nome”, la pesca diventa un oggetto intimo, della scoperta, della vulnerabilità. Troviamo Timothée Chalamet, che interpreta Elio, mettere in scena una delle sequenze più intime e sensuali della storia del cinema. La pesca diventa frutto del desiderio, frutto libidinoso, elemento erotico.
L’ambiguità e la viralità della pesca si vede nella sua controparte digitale. Con l’emoji del frutto si possono dire e intendere molte cose, e sempre più questa entra a far parte del modo di comunicare. Il termine pesca, o la sua traduzione inglese, si fa strada in molte opere, sonore o visive. Risale a pochi mesi fa la canzone di Jack Black “Peaches”, tratta dal film di Super Mario, diventata virale su Tiktok. Solo a pensarci mi ritorna in mente la scena di Bowser al pianoforte che proclama il suo amore alla principessa Peach. Ma “peaches” appare anche all’interno di un brano di Justin Bieber, dal titolo omonimo. Il frutto in questione appare anche in altre canzoni. Non si può certamente ignorare la Queen, Myss Keta, con Pazzeska: “Dice che sono pazzeska – sarà il fascino della tedesca? – vuole uno spicchio della mia pesca – mmmhh frutta fresca!”. Ma anche in arte, nei dipinti, spunta il succoso frutto. Come non ricordare Il Vertumno di Giuseppe Arcimboldo. Eccolo lì, un uomo fiero, maestoso, dal naso a pera e due grosse pesche che plasmano gli zigomi del volto, diventando un elemento estetico. Per non parlare di tutta una serie di opere che raffigurano cesti di frutta, cornucopie, vasi, brocche e barattoli dove appare il nostro amato frutto. Inoltre, il color pesca è una tinta beauty. Rossetti, ombretti e smalti si tingono di quel vibrante colore. Simboleggia bellezza, lucentezza e calore. Segna canoni estetici puntuali e normalizzanti. Le tinte pesca sono vellutate, dolci, accomodanti e particolarmente posizionate dentro gli stringenti canoni di bellezza.
La pesca non è neutrale, non è un frutto qualsiasi. Nella società odierna ha caratteristiche precise, una connotazione particolare. Vive della sua ambiguità, della sua sensualità e del suo posizionamento sociale. Ha un carattere polarizzante, che influenza, ironicamente, diversi ambiti, dal politico al culturale. Allora mi chiedo nuovamente, perché proprio la pesca. Forse un’altra sua caratteristica, o anche una sua capacità, è proprio quella di vivere in questa dualità. È un frutto morbido, sensuale, ma anche schietto e provocatorio. È l’ambiguità che lo rende unico, la sua non neutralità, ma anche il suo posizionamento fumoso. Per Giulio Alvigini diventa un frutto tramite, un oggetto della reintegrazione. Memando la famosa “Mela Reintegrata” di Pistoletto, Alvigini sostituisce alla mela la ormai virale pesca. Se per Pistoletto la mela reintegrava il naturale con l’artificiale, la natura con la tecnologia, la pesca “reintegra”, ipoteticamente, la famiglia di Emma. La pesca diventa un Ermes messaggero, un’entità oltre le parti che vive di dualismi e significati celati.
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Dio mio per una pesca !! quanta gente a girarsi i pollici